di Salvatore Mannino
Sarebbe andata così anche se a 15 anni Gino Severini non fosse stato espulso da tutte le scuole del regno, come suonava sinistramente il gergo burocratico dell’epoca? Avrebbe comunque il più illustre dei pittori cortonesi moderni, uno dei grandi dell’arte italiana del ’900, realizzato quella Maternità che è adesso una delle grandi attrazioni di Cortonantiquaria nel raffronto con la Cucitrice di Renato Guttuso? Poichè la mostra, anche quando si chiamava del Mobile Antico, si è più volte trovata a fare i conti con Severini, cui fu dedicata una collaterale che ha fatto epoca, poichè anche la figlia più giovane Romana, ormai ultraottantenne, è stata una delle vincitrici del premio Cortonantiquaria (nel 2016), non è forse inutile fare i conti con questo artista così eccelso e così eccentrico.
Gino Severini, dunque, nacque nel 1883 a Cortona da Antonio, impiegato comunale, e Settimia Antonini, sarta di mestiere. A 14 anni si iscrive alla Regia Scuola Tecnica della città, ma lì succede il patatrac. Il baldo giovanotto, infatti, insiene ad alcuni compagni si introduce di soppiatto in direzione e sottrae i temi destinati all’esame. Nella scuola tanto severa quanto autoritaria di fine ’800 scatta inevitabilmente l’espulsione, con tanto di processo di cui scrivono i giornali locali.
Lo scandalo è immenso. Il padre lo rimprovera: "Hai fatto una bella coglioneria". Ma l’onta è tale che tutta la famiglia è costretta a lasciare Cortona per trasferirsi a Radicofani. Qui il giovanissimo Gino fa un incontro decisivo, quello con Matilde Luchini, figlia di un senatore del Regno, che gli insegna i primi rudimenti della pittura. E’ una fulminazione, la scoperta di una vocazione su cui scommette mamma Settimia, che finanzia il suo trasferimento a Roma, dove incontra artisti del calibro di Giacomo Balla, Umberto Boccioni e Mario Sironi, che lo introducono alle avanguardie.
La fascinazione è tale che nel 1906, a 23 anni, Severini si trasferisce a Parigi, la Mecca di tutte le avanguardie. Nella Boheme della capitale è facile entrare in contatto con gente come Modigliani, Braque, Apollinaire e Marinetti, che sta già meditando il Manifesto del futurismo. Il cortonese ne è entusiasta, tanto che nel 1910 firma con Boccioni, Balla, Carrà e altri il Manifesto della pittura futurista. E’ il suo periodo astratto, di scomposizione della figura, con opere come "La ballerina a Pigalle" o "Mare-ba", futuriste e anti-realiste.
Dura più o meno fina quella che uno storico ha chiamato l’Apocalisse della Modernità, la Grande Guerra, che travolge illusioni e avanguardie. In Severini comincia a maturare quel "Ritorno all’ordine", che poi esploderà nel dopoguerra. Ne è segnale sicuro, appunto, la Maternità del Maec, ora a confronto con Guttuso, in cui viene ritratta la moglie Jeanne che allatta. Il soggetto e la sua realizzazione non potrebbero essere più realisti, quasi un anticipazione del neorealismo di Guttuso.
L’incendiario Severini, si converte al cattolicesimo, sceglie il filosofo Jacques Maritain come guida spirituale. Ormai è un pittore famoso, partecipa alla Biennale di Venezia e alla Quadriennale di Roma, dove si trasferisce. Cortona prepara un ritorno trionfale al figliol prodigo, accolto nel 1935 nascondendo persino l’ormai lontana espulsione e relativo scandalo.
Ma la storia dei rapporti con la città natale non è finita. Nel ’44, in pieno passaggio del fronte, il Vescovo Franciolini fa voto di realizzare una Via Crucis. Corrado Pavolini, comunista ma nipote di Alessandro, l’ultima raffica di Salò, gli suggerisce Severini, che realizza un altro dei suoi capolavori. No, Cortonantiquaria stavolta non ha sbagliato personaggio.