Sequestrata l’ex cava trasformata in azienda

Blitz dei carabinieri nella zona di Pieve Santo Stefano. L’accusa: i titolari producevano cippato senza autorizzazione e tutele ambientali

Migration

di Claudio Roselli

Producevano cippato da anni senza autorizzazione e senza le necessarie garanzie anche dal punto di vista ambientale in una cava dismessa nella zona sud del territorio comunale di Pieve Santo Stefano.

Giovedì, i carabinieri della sezione di polizia giudiziaria della procura di Arezzo, assieme ai colleghi del Centro nazionale carabinieri biodiversità del capoluogo pievano e i tecnici deldipartimento Arpat, hanno scoperto questa attività e subito apposto i sigilli all’intero stabilimento adibito alla produzione del legno a scaglie, utilizzato come combustibile o come materia prima per processi naturali e industriali.

Il luogo nel quale tutto ciò avveniva è, appunto, una vecchia cava dove da un bel po’ di tempo non si effettuano più estrazioni. Erano due società specializzate nella produzione industriale di biomasse, con sede in provincia di Arezzo, ad aver convertito la cava in stabilimento per la produzione di cippato, nel quale si lavorava in modo stabile e continuativo mediante dispositivi mobili con annesse operazioni manuali di deposizione e movimentazione di cippato e altro materiale ligneo, senza però che vi fosse alcuna traccia dlel’attività negli elenchi degli impianti e degli stabilimenti autorizzati a questo genere di lavorazione.

Immediato è stato il sequestro del sito, con i reati ipotizzati che vanno dal cambio di destinazione d’uso del suolo alle emissioni diffuse e sonore senza che vi fosse alcuna autorizzazione. Non solo: fra le contestazioni degli inquirenti alle due società c’è anche lo smaltimento illecito di rifiuti liquidi "quale risultato dell’azione delle acque meteoriche dilavanti sugli stoccaggi di cippato".

Un altro capitolo che si apre nella delicatezza della vicenda, perché ora scatteranno una serie di verifiche tecniche finalizzate a quantificare con esattezza le masse legnose presenti nell’area sequestrata, individuare la loro origine e poi quantificare l’impatto che il percolato derivante dagli stoccaggi di cippato ha avuto sul suolo e sulle acque superficiali. Per arrivare a questo provvedimento, i carabinieri della sezione di polizia giudiziaria della procura aretina hanno dapprima impiegato aeromobili a pilotaggio remoto ed eseguito indagini termografiche. Al termine degli accertamenti, gli inverstigatori hanno raccolto elementi tali da arrivare alla conclusione secondo cui in quella cava dove ora sono stati messi i sigilli, operava una vera e propria industria a ciclo continuo.

Non solo, secondo l’accusa, i titolari dell’attività avrebbero agito senza tenere minimamente costo delle norme a tutela dell’ambiente e del territorio. Il tutto, in un’area che peraltro era già fragile, dal momento che – come già specificato - era un sito estrattivo giunto ad esaurimento.

Secondo lo schema accusatorio, questo tratto rappresenterebbe un profilo di gravità all’interno dell’intera vicenda.