Scambio di famiglia: non era Boschi padre ma il figlio, cade l'ipotesi di bancarotta

Appunto male interpretato a margine di una notula Bpel da 400 mila euro. Non un'ipotesi di distrazione di Pierluigi vicepresidente ma il via libera da parte del cost manager Emanuele

LA PROTESTA IN PIAZZA_13378095_034813

LA PROTESTA IN PIAZZA_13378095_034813

Arezzo, 24 aprile 2018 - Era solo un banale errore di persona fra padre e figlio. Eppure per alcuni mesi ha rischiato di diventare il cappio attraverso il quale Pierluigi Boschi, padre dell’ex ministro Maria Elena, tutt’ora sottosegretario a Palazzo Chigi in attesa che si faccia un nuovo governo, restava appeso a un’accusa di bancarotta fraudolenta. Tutto per colpa di un appunto male interpretato, trapelato in dicembre dalla commissione d’inchiesta sulle banche.

La nota a margine di una notula da 400 mila euro in due fatture da liquidare alla società di consulenza Bain recitava: «Non inserita in procedura come da accordi con Boschi e Cuccaro». Lì per lì era parsa una frase sibillina ma sospetta, perchè tutti, inquirenti compresi, avevano pensato che il Boschi cui si faceva riferimento fosse il senior, ossia il padre, al tempo (maggio 2014), vicepresidente di Banca Etruria, dalla quale la consulenza era stata affidata a Bain, in margine ai progetti per la fusione con un partner di «elevato standing», come richiesto da Banca d’Italia.

Pareva dunque che l’appunto fosse il segnale di un via libera al pagamento dato direttamente da Pierluigi Boschi, in deroga rispetto alle normali procedure, il che avrebbe potuto far ipotizzare una distrazione patrimoniale destinata a diventare un capitolo di bancarotta fraudolenta ulteriore da contestare direttamente all’ex vicepresidente nel caso in cui la pratica si fosse dimostrata irregolare. Non per niente, era la vigilia di Natale, alcuni membri di minoranza della commissione parlarono di un altro scandalo del caso Etruria.

Assai più prudentI il procuratore Roberto Rossi e gli altri Pm del pool che indaga: bisogna chiarire. Infatti. Le indagini successive svolte dalla Finanza hanno portato ad accertare che il Boschi in questione, quello chiamato in causa insieme a Emanuele Cuccaro, al tempo vicedirettore generale, era il figlio Emanuele, in quei giorni cost manager della banca prima di dimettersi per dedicarsi alla libera professione.

Come a dire uno che per l’incarico ricoperto poteva, e anzi doveva, dire la sua sulla liquidazione della consulenza. Insomma, niente altro che il passaggio di un normale iter burocratico fra un ufficio e l’altro di Etruria, con lo scenario di bancarotta a carico di Boschi senior che si scioglie come neve al sole. Non per questo colui che per mesi è stato il padre più discusso d’Italia e gli altri ex amministratori di Bpel che non sono sono già a processo per bancarotta sono del tutto fuori dall’inchiesta.

La proroga d’indagini che la procura aveva ottenuto a novembre dal Gip è ancora in piedi. Scadrà non il 30 aprile, come sembrava in un primo momento, ma fra la fine di maggio e i primi di giugno. Le ipotesi di accusa che restano in piedi sono tre: la liquidazione dell’ex Dg Luca Bronchi, ma in questo caso si profila l’archiviazione per tutti coloro, Boschi padre compreso, non sono già stati rinviati a giudizio; le consulenze esplose in tre anni da 500 mila euro a 13 milioni (ma anche qui non sembra emergere nulla di penalmente rilevante) e l’ipotesi di falso in prospetto sulle due emissioni di subordinate azzerate del 2013. Quest’ultimo è forse il capitolo più spinoso, lo scenario di un processo resta ancora in piedi.