
Guardia di Finanza
Arezzo, 5 febbraio 2019 - C’erano due intermediari che vivevano tra Arezzo e Parigi e c’era anche un sistema di corrieri che viaggiavano da qui a Marsiglia e viceversa. Trasportavano oro, tanto oro, almeno 30 chili, fonito da due aziende di gioielli cittadine: una sorta di diversificazione degli affari per un’organizzazione criminale magrebina, che reinvestiva in preziosi e lingotti i proventi del traffico di stupefacenti e dell’evasione fiscale in terra transalpina. Finchè non sono arrivati a sgominare il gruppo la Gendarmerie di Marsiglia e la Guardia di Finanza di Firenze.
Gli arresti sono diciannove, tutti di nordafricani e tutti in Francia, ma nella rete sono rimasti impigliati anche cinque aretini, fra cui due orafi, indagati per riciclaggio internazionale, sono Patrizio Vicini, titolare della Gp Orodi via Montefalco e Arabetros Kumaidin, libanese, della Cage d’Ordi via Pastore, nella zona industriale in fondo a via Calamandrei. La Finanza li ha perquisiti, in casa e in azienda.
Entrambi hanno ricevuto un ordine europeo di indagine, ratificato dall’autorità giudiziaria italiana nella persona del Pm Beatrice Giunti della procura di Firenze, che coordina per adesso la parte italiana dell’inchiesta. Spunta anche l’aggravante dell’articolo 7, dell’aver cioè favorito un’organizzazione di carattere mafioso, come si ipotizza a carico del sodalizio criminale nordafricano operante in Francia.
Le indagini partono appunto da Marsiglia, tribunal de grande istance, con la Gendarmeria che giunge sulle tracce di un gruppo fatto di immigrati dai paesi delMagreb, principalmente Algeria, ramificato in molte città francesi.
Le attività illecite vanno dallo spaccio all’evasione fiscale. I guadagni tornano all’origine, in Nord-Africa, grazie a una rete finanziaria parallela che si chiama Hawala, istituzione antichissima che opera sulla base della fiducia e dell’onore, consentendo di evitare i controlli di un sistema ufficiale come i Money Transfer.
In sostanza, i soldi dei traffici vengono affidati a un referente francese dell’Hawala che a sua volta attiva sulla parola il corrispondente nordafricano. E’ quest’ultimo a passare il denaro al destinatario finale, detraendo una commissione. Non tutto però torna nei paesi del Magreb in contanti. Una parte dei soldi (che arrivano fino a 7 milioni al mese) viene reinvestito nell’oro delle aziende aretine. A procurare il contatto sono appunto gli intermediari che vivono fra Arezzo e la Francia. Sono loro che prendono i contati con tre persinaggi che operano nel mondo dell’oro, specializzati in affari poco puliti, i quali a loro volta indicano le due aziende disponibili.
Sono loro che segnalano all’organizzazione quando c’è un carico di gioielli e lingotti pronto per la spedizione. A quel punto partono da Marsiglia i corrieri che in auto giungono fin qui, caricano tutto nei doppi fondi delle vetture e riprendono l’autostrada verso il porto più importante di Francia. Da lì l’oro prende la via d’Algeria con le normali navi da carico, grazie a personale compiacente delle compagnie di trasporto.
Per gli orafi aretini un affare sicuro, tutto in nero e tutto in contanti. Non sanno ancora che Finanza e Gendarmerie li stanno intercettando e pedinando. E quando scatta la trappola è ormai troppo tardi per rimediare.