
Quell’arringa d’amore di Cicerone. Difese ragazza aretina e sfidò Silla
di Claudio
Santori
Chi è la misteriosa donna d’Arezzo (arretina mulier) difesa nell’80 a.C. da Cicerone? E chi è l’altra non meno misteriosa donna, dalla patria ignota, che Cicerone ha difeso (forse lo stesso anno o forse l’anno dopo)? Della prima, salvo la patria, non sappiamo nulla, della seconda conosciamo invece sia il nome, Titinia, che il capo d’accusa: veneficio! È difficile, per non dire impossibile rispondere in maniera soddisfacente a queste domande, sono arringhe delle quali non ci è pervenuto neppure un frammento, ma solo qualche scarsissima testimonianza.
Si può dire che sono entrambe arringhe giovanili, di un Cicerone alle primissime armi, mai pubblicate (vedremo perché), in qualche modo legate alla nostra città. Ed è in qualche modo legata con Arezzo anche una terza arringa, più matura, del 65 a.C. , in difesa di Catilina: sì, in difesa, perché siamo due anni prima della famosa congiura e Catilina, pur essendo sicuramente già un tipaccio circondato da tipacci in gran parte aretini, non aveva ancora velleità rivoluzionarie, anzi aspirava addirittura al consolato. Ma andiamo con ordine.
Della misteriosa donna aretina Cicerone parla nell’orazione ’Pro Cecina’ al capitolo 33: "Come mai potrebbe essere libero in forza del diritto dei Quiriti uno che non è più nel numero dei Quiriti? Si tratta di una tesi che io, quando ero un giovanottello, ho sostenuto in contraddittorio con uno dei nostri maggiori oratori, Gaio Cotta, e che feci accogliere dai giudici. Sostenevo la condizione libera di una donna di Arezzo, mentre Cotta aveva insinuato nei decemviri lo scrupolo che non si poteva considerare giusta la mia azione di rivendicazione della libertà, perché ad Arezzo era stato tolto il diritto di cittadinanza; io allora mi diedi a sostenere con energia e fermezza che la cittadinanza non può essere tolta, tanto che i decemviri … ritennero col loro verdetto giusta la mia impostazione della causa" (trad. Bellardi). Sappiamo dunque che Silla aveva privato i cittadini di Arezzo del loro diritto di godere della cittadinanza romana e che Cotta, facendo leva su questo, pretendeva che quella donna fosse sua schiava. Cicerone imposta la causa con la tesi che il diritto di cittadinanza non può essere tolto a chiunque!
Tesi che rivela nel giovane avvocato (si definisce adulescentulus, poco più che un ragazzo) una buona dose di coraggio perché onde ottenere per la sua cliente la qualifica di donna libera, sostiene che deve essere libera tutta la città, e viene così di fatto a sfidare Silla dichiarando illegale un suo provvedimento: e Silla era vivente, come tiene orgogliosamente a specificare! La faccenda è ingarbugliata e potrebbe chiarirsi un poco se potessimo identificare l’arretina mulier con la Titinia dell’altra arringa e farne di due una sola, come fa il Münzer, cosa molto difficile se non impossibile perché Titinia è accusata espressamente di veneficio, cioè una specie di fattucchiera. Poiché comunque i decemviri dettero ragione a Cicerone facendogli vincere la causa, rimane il fatto che la città di Arezzo dovette a Cicerone il recupero del diritto di cittadinanza romana!
Arezzo ha sempre avuto una vocazione in qualche modo "democratica". Nella guerra civile fra Mario e Silla appoggiò Mario e quando questi morì, e Silla ebbe la meglio, fu devastata. Un’altra scelta sbagliata fu l’appoggio dato a Catilina, quando una masnada di aretini affluì a Roma, ma fortunatamente senza conseguenze.
Ma torniamo a Cicerone: consapevole di aver corso un grosso rischio (Silla non scherzava e ci si poteva ritrovare come niente nelle tavole di proscrizione), non volle strafare e, pur avendo segnato un grosso punto per la sua carriera, si guardò bene dal pubblicare l’orazione. Ma appunto per questo rimane una curiosità inappagata. Possibile che nessuno degli illustri filologi italiani e stranieri (dal Puccioni al Bellardi, dal Crawford al Friedrich) si sia domandato per quale ragione, spinto da chi o da cosa, con tutti i casi che avrebbe potuto trattare con uguale aspettativa di prestigio e certo con meno o con punto rischio, il Nostro abbia dedicato tanto tempo alla difesa di una donna insignificante, cittadina di una città in disgrazia del dittatore? Grimal sostiene che l’ha fatto per dimostrare di essere capace di buttare in politica l’attività forense, ma non convince. Certo un filologo, persona seria per definizione, non può lasciarsi andare a pettegolezzi piccanti, ma noi gazzettieri ci possiamo permettere di domandarci se per caso a motivare Cicerone non sia stato un elemento extra professionale!
Cicerone era un giovanottello di bella presenza e benestante; brillante e spiritoso (scriverà più in là l’unico trattato sul riso della letteratura latina), amava la bella vita, adorava il teatro, frequentava assiduamente l’attore Roscio (il Gassman di allora) e si era fatto amico Accio, l’ultimo grande tragico romano, allora ottantenne, ma arzillo e pronto di spirito. Insomma, Cicerone era un pò viveur e l’anonima aretina doveva esser belloccia se Cotta con tanta insistenza la reclamava per sé: anche se non avesse avuto, come penso, di che pagare l’avvocato … non sarebbe stata a corto di argomenti…!