"Della liberazione di Roma da parte degli alleati non se ne parlava, sembrava prossima dopo lo sbarco anglo americano a Nettuno, ma poi si ristabilì lì, il fronte e non se ne parlava più; nè avevamo previsione alcuna di quando potessimo rivedere Napoli". Giuseppe Trinchillo (nato a Calvizzano nel 1900), ex capitano dell’esercito italiano, nel 1943 guida la sua famiglia allargata e un gruppo di sfollati lontano da Napoli. Catturati a Scauri, dopo una fuga audace, trovano rifugio a Roma scampando così alla deportazione in Germania. "Come il Signore volle" è il titolo della Memoria che Giuseppe scrive tra il 1943 e il 1944, un periodo cruciale della seconda guerra mondiale con l’Italia occupata dai tedeschi e attraversata da un profondo caos sociale e politico. Un racconto intimo e personale che si intreccia con la memoria collettiva. Trascorrerà un anno e mezzo, tra lo sbarco degli alleati a Nettuno e la liberazione di Roma, un tempo interminabile di tribolazioni, miseria e fame: "Vi erano momenti che non si trovava nulla sul mercato, neanche a prezzi elevati...". Giuseppe impara subito l’arte di arrangiarsi per sopravvivere: "... a me mancava il soprabito, ero andato a Roma senza e poichè l’ingegnere ne aveva due, uno lo indossava lui, un altro lo imprestò ad Antonio e quello di Antonio, che era più stretto, lo tenni io, ma mi andava lungo e Gennara per adattarmelo pensò di farvi una piega inferiormente. Così che con quelle scarpe pensai di venderle per poi acquistare un soprabito, ma questo costava molto ed occorreva integrare il ricavato delle scarpe con una gross differenza; così pensai di fare un’inserzione sul Messaggero cambierei scarpe marrone 42 con soprabito buone condizioni, telefonare 15849. Quando uscì il Messaggero con quel annuncio ebbi oltre 30 telefonate. Il giorno successivo, misi le scarpe nella borsa con l’elenco del domicilio alla mano di tutti quelli che mi avevano telefonato, girai Roma in lungo e in largo. Qualcuno voleva 4000 lire di differenza, qualche altro 2000...". Quando ogni sforzo sembrava vano, incontra un ex ufficiale di aviazione sfollato da Rodi. "Gli dissi: penso che non sarà cosa, perchè vedo che il cappotto ha un valore superiore alle mie scarpe e siccome sono uno sfollato con tante persone a carico e non ho mezzi... egli mi rispose: Voi avete bisogno del cappotto ed io delle scarpe... tra persone per bene ci aiutiamo scambievolmente (...) Non mi par vero di quella fortuna!". La sopravvivenza diventa un insieme di piccoli miracoli quotidiani: "Entrate in danaro ve ne erano è vero, ma di gran lunga inferiori alle necessità familiari; se si pensi che l’olio aveva raggiunto il cospicuo prezzo di lire 1400 al litro e così proporzionalmente per tutti gli altri generi, è facile comprendere come si spendessero migliaia di lire al giorno, stando digiuni". Proprio quando si comincia a intravedere la speranza per la liberazione di Roma, la perdita di due cognati è per lui devastante: "Avevamo sofferto e sperato tanto per ben 8 - 9 mesi, alla vigilia della nostra liberazione fummo colpiti da sì grave sventura e non ne potemmo neanche gioire, anzi al pensiero che potevamo veder loro felici, ci addolorava ancora di più.". La gioia per la libertà ha un retrogusto amaro, in casa Trinchillo.
Cronaca"Quell’anno di tribolazioni e fame". Giuseppe sfugge alla deportazione. L’odissea dell’ex capitano Trinchillo