
Il giudice Lombardo e nel riquadro il marocchino
Arezzo, 16 marzo 2021 - L’archiviazione c’è, dopo due anni e tre mesi di calvario, i rimpianti anche. Potesse tornare indietro, Fredy Pacini, il gommista con la pistola di Monte San Savino, non prenderebbe più in mano un’arma e anzi giura: il fatto che il revolver sia ancora sotto sequestro non gli crea nessuna ansia, non lo rivuole indietro.
Così come non vuole neppure pensare a quella notte del 29 novembre 2018, ai suoi tormenti, allo scenario di come avrebbe dovuto comportarsi secondo il Gup Fabio Lombardo, che pure ha mandato il fascicolo per l’omicidio colposo del ladro Mircea Vitalie, un giovane moldavo, a marcire definitivamente nella polvere degli archivi, insieme all’accusa di un eccesso di legittima difesa che (dice il giudice) ci fu ma non è più punibile, secondo l’ultima legge, varata pochi mesi dopo che Fredy aveva già ucciso.
Lombardo, magistrato tutto di un pezzo, non fa marcia indietro rispetto alle perplessità che aveva manifestato a settembre, respingendo la prima richiesta di archiviazione del Pm Andrea Claudiani (ormai a Perugia da quasi due anni) e agli approfondimenti che aveva allora sollecitato alla procura.
Non ci fu a suo avviso quella legittima difesa putativa su cui si basava la proposta di Claudiani, non ci fu cioè il pericolo soggettivo, anche se non oggettivo, che il protagonista sentì per la propria incolumità. Ecco perchè, recitano le motivazioni dell’ordinanza, Fredy avrebbe dovuto sparare in aria, mentre quando spianò la pistola i cinque colpi (due a bersaglio) partirono subito ad altezza d’uomo.
E questo, per Lombardo, è eccesso di legittima difesa. Che, anche se lui non lo esplicita, sarebbe stato punibile in processo con la vecchia legge. Ma con la nuova normativa, quella volutato dal primo governo Conte, fortemente sponsorizzata da Matteo Salvini, all’epoca ministro dell’Interno, l’eccesso è stato praticamente depotenziato, fin quasi al punto di non esistere più, specie nei casi in cui chi si difende agisce in uno stato di turbamento.
Scenario nel quale sicuramente si trovava Fredy: è vero che stava a una dozzina di metri di distanza da Mircea Vitalie che aveva appena abbattuto a picconate il vetro dell’ingresso, ma era protetto solo dalla porta che divide il piano terra dal soppalco, facilmente abbattibile da chiunque. Perdipiù il moldavo aveva fra le mani una torcia che proiettava un fascio di luce sinistro per chi lo guardava e che comunque rifletteva anche da spenta.
Che insomma Fredy abbia sparato, che non abbia esploso i colpi in aria, rientra in quello stato di turbamento che in base alla legge renderebbe impossibile sostenere l’accusa in un processo, tanto da condannare quello stesso giudizio all’inutilità. Non ci sono i margini, quindi, per procedere penalmente, andare in aula sarebbe una perdita di tempo.
Sono sottigliezze di diritto e di fatto difficile da comprendere per i profani, ma quel che conta è che il caso Fredy è chiuso. Nessuno potrà più chiedergli conto dell’uccisione del ladro. Il gommista si salva grazie alla nuova legge Salvini e col leader della Lega c’è anche uno scambio di messaggini, compresi moglie e avvocata (Alessandra Cheli).
Non per questo Pacini si schiera politicamente col capo del Carroccio e con Giorgia Meloni, l’altra che esce subito con una dichiarazione di solidarietà: la difesa è sempre legittima. «Io sono un imprenditore - ricorda Fredy - non sto con nessuno». Ora che la vicenda giudiziaria è finita aspira solo a una cosa: essere finalmente dimenticato.