Ponte Buriano, l’avventura lunga mille anni L’Arno lo sommerse secoli prima del 1966

Tracce del progetto e del manufatto fin dal 1034, prima delle origini ufficiali: anche se il completamento romanico fu solo successivo

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Simone

De Fraja

Quel ponte dalle radici antiche. Lui, Ponte Buriano, il gigante che troneggia sull’Arno da secoli. E che proprio in questi giorni ha visto il via ai lavori per la realizzazione di una struttura provvisoria. Propedeutica agli interventi di ristrutturazione e consolidamento che lo consegneranno al futuro.

La realizzazione del ponte, forse nelle forme non definitive e salvo le opere di successivi interventi di restauro, appare precedente a quanto ricordano gli Annales Minores che registrano che nel 1277 "Pons Buriani in agro arretino constructus", cioè completato o ri-costruito, dato che la prima citazione del "Pontem de Buriano" (Pasqui II, 61), risale al 1203.

È probabile che il manufatto nel 1240, come potrebbe ricordare l’iscrizione sulla pila in riva destra "Chimenti Accolti 1240", fosse ristrutturato, o integrato ma non ancora completato nella nuova veste romanica, tant’è che Silvano Pieri annota che nel 1254 il passaggio del fiume doveva essere effettuato ancora a mezzo di barche o a guado (Silvano Pieri, Documentazione minore, p. 43-44).

Don Silvano Pieri ebbe inoltre a precisare che del ponte si parla, nei documenti medievali, anche precedentemente all’anno 1203 e cioè nelle carte afferenti la prima metà del secolo XII che permettono di collegarsi ad una pergamena, senza data citata da Eugenio Gamurrini, in cui alcuni soggetti ebbero a donare, "ad edificationem ecclesie B. Nicolai et hospitalis iusdem ecclesie, pontisque restaurationem et ad utilitatem pauperum et sarcedotum", alcuni beni che gli stessi donatori possedevano in "vocabulo Buriano": comunque correva l’anno 1034 quando tra i beni di famiglie che possedevano beni nella zona venne donato un compendio "de loco Ponte".

Dunque intorno al 1140-1150 il ponte abbisognava di lavori per la sua fruibilità ricordando inoltre che l’antico sito di Buriano, non l’agglomerato sorto alla testa del ponte, si trovava più a valle. Silvano Pieri conclude il suo intervento Il Ponte a Buriano esisteva fino dal 1034 apparso nel Notiziario Turistico AR (n. 209, 1994) ipotizzando che la nota scritta "Chimenti Accolti 1240" potesse integrare, non un evento legato al ponte, ma per le sue caratteristiche grafiche e di conservazione, un termine di proprietà terriere.

La sistemazione del ponte e della connessa via potrebbero aver fatto parte di un unico progetto, la rettificazione di alcune direttrici nel corso del secolo XIII, in cui il precedente antico tracciato viario, che probabilmente passava più a sud-ovest, dopo aver toccato Montione lungo il Castro e presso la Pieve di Galognano, fosse spostato e rettificato più a nord-est entrando in asse, in tal modo, con il ponte. Quest’ultimo infatti era disposto, come si vede anche oggi, in modo da fendere, con i rostri delle pile, la corrente del fiume in modo perpendicolare.

Nel 1558 vennero rifondate le pile, e nel corso del XVIII secolo vennero riparate altre due volte: nel 1750 e 1763; nel 1581, quando Michel de Montaigne diretto a Firenze lo attraversò, il ponte era pienamente operativo ed in buone condizioni, tanto da esser stato definito, oltrechè somigliante a quello della Chiassa, "assai grande e bello", come annota nel “Giornale di viaggio in Italia”.

Nel 1333 una grande alluvione trasformò l’Arno in un’arrestabile ed impetuoso corso d’acqua e di fango; una lapide posta sul Ponte Vecchio di Firenze, ancora, ricorda che il "quattro di novembre per il grande impeto delle correnti questo ponte cadde" e, del pari, gli Annali Aretini, annotano che "l’Arno si gonfiò a tal punto che sommerse il Ponte a Buriano e quasi anche Firenze": per una cabala, tutt’altro che positiva, il quattro novembre 1966 Firenze fu nuovamente sommersa.

Casualità storica, cicliche condizioni climatiche e ingannevole cabala numerica si intrecciano e puntano sul 4 di novembre del 1333 e del 1966.

Eugenio Montale ricorda con efficace simbolismo surreale l’immagine dei libri, mobili, carte, pezzi della propria vita, che galleggiano sul brodo primordiale di fango prima di soccombere “sotto un’atroce morsura di nafta e sterco” soffrendo “tanto prima di perdere la loro identità” (L’alluvione ha sommerso il pack dei mobili).

Nel corso della Seconda Guerra Mondiale, il ponte venne completamente minato dai Tedeschi, ma riuscì ad essere salvato dall’esercito alleato costringendo il fronte nemico ad una manovra di ripiego.

In merito, testimonianze particolari sono state offerte da Mario Lucherini e soprattutto da Enzo Droandi che scrive "si legga il bel libro, un po’ “agiografico’’, ma bello, del Tutaev sul “console di Firenze”, su quel tedesco Gerhard Wolf che molto fece per salvare ponti storici fiorentini e si comprenderà che il mai rammentato in quel libro Ponte Buriano aveva insegnato ai tedeschi l’importanza di un ponte in muratura e pietra, lanciato sull’Arno, largo utilmente 4,60 m, lungo 158 m e capace di sopportare, dopo 677 anni di esistenza l’onere di carri armati in movimento, pesanti più di 30 tonnellate ciascuno" (La battaglia per Arezzo).