
La rete dei controlli
Arezzo, 4 agosto 2025 – Un gruppo di Associazioni e Comitati, coordinati dalla “Rete Zero PFAS Toscana”, tra queste diverse anche quelle aretine, “in considerazione del fatto che la politica nazionale e le istituzioni regionali sembrano indugiare sull’effettiva presenza di PFAS nelle nostre acque e nei nostri cibi, hanno deciso di far eseguire una serie di analisi, a proprie spese, da un laboratorio accreditato utilizzato anche da Greenpeace nelle sue ultime analisi condotte in Toscana”.
"I PFAS sono inquinanti eterni, si muovono velocemente nelle acque e finiscono nella catena alimentare, hanno gravi effetti sulla salute, agiscono sul sistema immunitario, aumentano il rischio di alcuni tipi di cancro, alterazioni endocrine, problemi riproduttivi e disturbi dello sviluppo. Vogliamo ricordare – dichiarano i portavoce delle associazioni e dei comitati firmatari – che abbiamo scritto ai sindaci e inviato una proposta di mozione a tutti i consigli comunali della Toscana per chiedere studi e azioni concrete su questi inquinanti.
Siamo consapevoli che il nostro non è un campione significativo a livello statistico e formale, ma tuttavia rappresenta una fotografia, seppur limitata geograficamente, della situazione attuale, allo scopo principale di sollecitare le istituzioni e gli enti di controllo deputati a prendere le misure opportune.
Le analisi saranno messe a disposizione della Rete Zero PFAS Italia, insieme ai test analoghi effettuati dal Veneto e da altre regioni. Le politiche “green” vantate dalla nostra Regione, anche rispetto ai PFAS, mostrano tutti i loro limiti in particolare se confrontate con quelle di altre realtà.
Le Regioni Veneto e Piemonte, per quanto di loro competenza, grazie alle forti pressioni della cittadinanza, hanno approvato misure più restrittive riguardo ai PFAS; anche Utilitalia, la federazione che riunisce le aziende dei servizi pubblici, si sta muovendo con proposte concrete (vedi allegato).
Mettiamo a disposizione di tutti la mappa con i dati delle nostre analisi al seguente link: https://www.google.com/maps/d/edit?mid=1AJaQ-5IOiM_3EddbLMFRct913bEncjI&usp=sharing. I punti di prelievo nella regione sono 47, e le molecole di PFAS analizzate sono ben 58.
La maggior delle analisi attiene solo ai PFAS, in altre sono aggiunti anche 23 metalli pesanti e alcune sono limitate a questi ultimi. Volendone dare una sommaria interpretazione, emerge con nostra preoccupazione, che queste sostanze sono presenti nella quasi totalità dei campioni.
Tuttavia le acque potabili prelevate a fontanelli o in civili abitazioni hanno avuto andamenti diversificati: in alcuni casi sono risultate ottime (Arezzo e Monsummano Terme PFAS 0), in altri casi abbiamo trovato presenza di PFAS non certo trascurabile (Prato e Carrara), anche se nei limiti di legge che entreranno in vigore nel 2026.
Pure in una bottiglia di acqua minerale di pregio della nostra regione sono presenti queste sostanze perfluoroalchiliche, come nei pozzi privati. Per le acque superficiali sono stati analizzati due campioni delle acque del Tevere, uno in Arno e altri due in corsi superficiali minori: a sorpresa i valori più elevati sono stati trovati nel Tevere a Sansepolcro, a ridosso del confine con l'Umbria.
Inoltre due analisi sono state fatte alle acque superficiali vicino ad aree minerarie (nel Grossetano) dove non risulta significativa la presenza di PFAS, ma in uno dei due prelievi emerge allarmante la presenza di metalli pesanti. Abbiamo prelevato anche acque superficiali vicino ai depuratori e a qualche area industriale importante e, pure in questo caso i PFAS sono presenti dappertutto seppur non in quantità considerevoli, fatta eccezione del Fosso Tommarello nella zona di ENI a Calenzano dove la somma si PFAS ammonta a ng/l 2775,8 e a ng/l 612,5 in un altro e ci si chiede se l’enormità di questi dati possano essere dovuti alle schiume per spegnere il recente incendio dell’impianto o all’attività stessa di ENI, oppure ad altre cause a noi sconosciute. Destano anche timori sia i valori trovati a Livorno allo scolmatore zona Stagno, dove la somma PFAS è di ng/l 794 con tipologie di PFAS che fanno parte del gruppo di cui la Comunità Europea dal 2026 ne vieterà l’uso su molti prodotti; sia la presenza nel torrente Nievole di PFOA, il cui utilizzo nei processi industriali è ormai vietato, dal By pass del depuratore e non possiamo che porci la domanda da dove possa arrivare.
È motivo di preoccupazione il fatto che a Prato e a Carrara è stata trovata una quantità di PFAS maggiore o simile sia nelle acque potabili che nelle acque superficiali, vicino agli scarichi dei depuratori: la domanda che ci poniamo è da dove, in questi due comuni, vengono prelevate le acque per la potabilizzazione.
Alcune analisi sono state fatte anche in acque superficiali vicino a discariche e stoccaggio di rifiuti ed è proprio in alcune di queste acque che abbiamo trovato i dati più preoccupanti: sia in quelle alla discarica del Cassero (nel Pistoiese) oltre 2100 ng/l di PFAS e a Podere Rota nel comune di Terranova Bracciolini (AR), riscontrati addirittura oltre 7.300 ng/l.
Chiediamo alla Regione – proseguono i promotori dell’iniziativa – se vi sia una reale intenzione di monitorare la situazione toscana in relazione a questi inquinanti eterni e se sia già stato avviato uno studio specifico sui cicli produttivi, per i quali riteniamo essenziale analizzare sia gli scarichi industriali che quelli dei depuratori, con particolare attenzione agli impianti che trattano reflui industriali.
Riteniamo imprescindibile, anche alla luce dei risultati delle nostre analisi, effettuare il monitoraggio del percolato delle discariche riservando particolare attenzione alla destinazione del percolato contenente elevate concentrazioni di questi inquinanti. Chiediamo inoltre che le ASL si attivino per incrementare i controlli sulle acque potabili e che venga intensificato il monitoraggio degli alimenti nei quali si possono verificare fenomeni di accumulo di PFAS.
Qualora emergesse una situazione preoccupante è necessario che la politica abbia il coraggio dimostrato dalla regione Veneto e dalla regione Piemonte di porvi dei limiti, per quanto di competenza, e di informare la cittadinanza, per non continuare ad aggravare una situazione che purtroppo appare già compromessa» conclude “Rete Zero PFAS Toscana”.