Paura e speranza oro, Giordini: "Finanziamenti a fondo perduto"

"Vogliamo lavorare". Prime tenui luci nel tunnel. La presidente della consulta: non calcolare la materia prima nel fatturato Da Dubai segni di ripresa

giordini

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Arezzo, 2 giugno 2020 - Avanti piano, quasi fermi. La paralisi del distretto orafo, il primo d’Europa, è ancora quasi totale, ma qualcosa potrebbe cambiare (in meglio, si spera) già dopo il ponte del 2 giugno, se non questa settimana almeno la prossima. Ci spera Giordana Giordini, presidente di Federorafi Arezzo e anche della Consulta che riunisce tutte le associazioni di categoria, il cui grido di dolore è accorato: «Vogliamo lavorare».

Il problema, riconosce lei stessa, è che lavorare finchè i mercati mondiali non si rimettono in moto, è più che altro una dichiarazione di volontà. Mancano le condizioni, a cominciare dalla più banale, i voli aerei sui quali viaggia la gran parte dell’export, in un distretto che vive di esportazioni per l’80 per cento di quanto esce dalle fabbriche.

E poi ci sono le singole piazzaforti dei gioielli di Arezzo: a Dubai, spiega Giordini, qualcosa si muove. Mercati e uffici sono già riaperti, ma nessuno si azzarda ancora a comprare. Gli Emirati sono un hub, cioè un centro di smistamento dal quale l’oro viene poi venduto in tutto il Medio Oriente, come Istanbul. Ma se i singoli paesi dell’area non ripartono, nemmeno i buyers di Dubai hanno interesse ad acquistare quello che non riuscirebbero a rivendere.

La speranza è comunque che già con la prossima settimana si vada a una riapertura necessariamente lenta ma almeno progressiva. Diversa la situazione di Hong Kong, dove sono gli scontri di piazza fra chi vuole salvare la peculiarità, anche in termini di diritti umani, della ex colonia britannica e la Cina Rossa che preme invece per normalizzare il territorio ribelle, a tenere banco.

Finchè non si arriva a una tregua, anche l’export, oro in primis, resta appeso a un filo. Così come sul filo rimane la grande fiera dei gioielli, una delle più importanti al mondo, che già era slittata da giugno ad agosto e che è ancora un’incognita. L’impressione è che possa essere necessario arrivare fino alla Fiera di Vicenza della prima settimana di settembre per avere un polso della febbre dell’oro.

Sempre che la riapertura per allora sia tale da evitare all’evento vicentino la stessa sorte di Oro Arezzo, annullata in attesa di tempi migliori, con le ultime speranze di una fiera al Palaffari appese alle sorti di Gold Italy in ottobre. Mercoledì si riunisce la Consulta orafa per fare il punto. Una delle proposte all’ordine del giorno è quella di far fronte comune con le altre due capitali del gioiello, Vicenza e Valenza, per premere sul governo.

Ma cosa c’è da chiedere? «Non è Roma che può darci il lavoro - dice Giordini - quello dobbiamo ritrovarlo da soli. Però qualche contributo farebbe comodo». Ad esempio l’equiparazione delle tre grandi fiere nazionali (Oro Arezzo e le due di Vicenza) a quelle internazionali in tema di ristori per la partecipazione. E poi i finanziamenti a fondo perduto che sono già previsti nell’ultimo decreto per le aziende sotto i 5 milioni di fatturato.

«Chiediamo che si calcolino al netto della materia primaaltrimenti non ci rientra nessuno». Il ragionamento è evidente: con l’oro a 50 euro il grammo, basta lavorarne cento chili in un anno (cifra irrisoria) per essere oltre i limiti. Se invece si parlasse di valore aggiunto, molte delle imprese del distretto potrebbero rientrarci dentro. Le più deboli, oltretutto, le più esposte al rischio di una gelata.

C’è anche la cassa integrazione, quella da Covid finisce al 20 giugno per poi ripartire da settembre. Restano due mesi scoperti nei quali l’unica alternativa per le aziende è la cassa ordinaria o pagare i dipendenti per stare fermi. «Ma per allora- prova a fare l’ottimista Giordana Giordini - spero che le nostre fabbriche siano tornate al lavoro».