SALVATORE
Cronaca

"Pasolini a tavola qui con il suo assassino" Le passioni aretine dello "scrittore maledetto"

Agli affreschi di Piero e a piazza Grande dedicata una raccolta poetica del 1961. E in città tornò per seguire l’amico Ninetto Davoli militare

Salvatore

Mannino

Eravamo più poveri, chissà se anche più belli come nel film d’epoca. Di sicuro più provinciali, appena usciti dalle miserie della guerra e ancora nel pieno della Ricostruzione che avrebbe posto le basi del Boom. Ma solo un poeta come Pier Paolo Pasolini, uno dei più grandi del secondo ’900, di cui in questo 2022 ricorre il centenario della nascita, poteva restituire il clima di quegli anni ’50 e di un’Arezzo ancora paesana, nella quale i ragazzi di allora, "disperato stuolo di uccellini", giocavano in una piazza Grande immersa nella vigilia di Giostra, strano contrasto fra i calzoncini corti ("Pudichi", scrive il poeta) dei bambini e la solennità dello scenario: "La cerchia delle trecentesche case".

E’ il primo impatto di Pasolini con una città che non è la sua (molto più importanti saranno per lui Roma, Bologna e la Casarsa delle origini friulane) ma che avrà il suo peso (non indifferente) nella vita di uno degli intellettuali più poliedrici e discussi del secondo dopoguerra, scrittore, cineasta, polemista di vaglia con i suoi "Scritti corsari", l’attacco agli studenti sessantottini di Villa Giulia, contrastati dai poliziotti figli del popolo, la sua nostalgia per la scomparsa delle lucciole, simbolo di una civiltà contadina ormai al tramonto. Così significativa è Arezzo per Pasolini che l’ultima volta ci verrà a pranzo con il suo assassino Pino Pelosi, un altro dei "ragazzi di vita" del suo romanzo più famoso, almeno se si accetta la verità giudiziaria, perchè di ipotesi, anche inquietanti, sull’omicidio ne sono state avanzate tante.

I versi citati all’inizio appartengono alla raccolta "La religione del mio tempo" e fanno parte per la precisione del poemetto che la apre, "La ricchezza", in gran parte ambientato nel centro storico di questa città e in special modo nella San Francesco degli Affreschi di Piero. Non si sa quando Pasolini sia arrivato ad Arezzo per la prima volta, ma devono essere sicuramente gli anni ’50 di cui si diceva, perchè la "Religione del mio tempo" esce nel 1961, quando il decennio di preparazione al Miracolo economico è appena alle spalle. Probabilmente, questo intellettuale scomodo per la sua fama di artista "maledetto" e omosessuale (ma forse è questa sua sensibilità particolare che gli fa cogliere "il sospeso chiasso di ragazzi con visucci da figli provinciali") si ferma qui nei suoi tragitti fra Roma e Bologna, successivi all’esplosione dello scandalo sessuale che lo costringe ad abbandonare il Friuli. E ad Arezzo Pasolini arriva forte della cultura, non solo visiva, che ha assorbito da grandi figure del suo tempo come Roberto Longhi, maestro della storia dell’arte, e Gianfranco Contini, gigante della critica letteraria, entrambi citati esplicitamente nei versi ambientati tra le scene della Leggenda della Croce. Lettura, peraltro, quella del poeta, in chiave squisitamente populista, perchè il personaggio che visita gli affreschi nella "Ricchezza" è un operaio affamato di sapere, ma è un populismo gentile, tanto diverso da quello attuale. Non a caso, Pasolini non respira solo la maestosità geometrica ed algida di Piero ma anche il costume di quell’Arezzo ormai lontana, a cominciare dai caffè di San Francesco che fanno capolino fra i versi.

Avrebbe potuto rimanere un unicum questo blitz in terra aretina, avrebbe potuto rimanere un’avventura intellettuale in una città ideale. Invece il destino riporterà Pasolini da queste parti. Sono i primi anni ’70 e Ninetto Davoli, ancora un Ragazzo di vita, ma soprattutto l’attore (con Totò è il protagonista di "Uccellacci Uccellini") che allo scrittore e regista fu legato da una lunga relazione, viene inviato a fare il militare proprio ad Arezzo, all’allora 225° battaglione di fanteria. Ed è inutile dire, perchè la storia è ben nota, che il suo mentore Pasolini lo segue da presso per mesi e mesi.

Nei fine settimana, l’artista friulano è una presenza fissa in città, ospite dei due alberghi di Raoul Acquisti: "Cecco" al Corso e "Cecco alla Gravenna" in località omonima, sulla strada del Casentino. Intervistato da La Nazione qualche anno fa, Acquisti, che nonostante l’età è ancora lucidissimo, lo ricordava con affetto: "Un uomo colto, riservato ma alla mano, grande appassionato di arte e di cultura, con lui si finiva sempre per parlare dei grandi artisti toscani, da Soffici a Papini e Prezzolini". C’è persino una vecchia foto (la vedete a fianco) nella quale Pasolini fa da guida a Davoli fra gli affreschi di Piero.

Tramite Acquisti, lo scrittore conosce anche il colonnello Enzo Pecchi, comandante del 225° ma rimasto nella memoria soprattutto come centravanti dell’Arezzo, col soprannome di "Testina d’oro". Anche il figlio Umberto Pecchi, medico, aveva una memoria vivida delle visite di Pasolini nella sua casa di campagna: "Non posso dimenticare - raccontò nel 2012 - anche se ero ancora un ragazzo, questo uomo famoso che si aggirava fra la nostra abitazione di città e quella di Alberoro. Avrebbe persino voluto ambientarci un film. Le conversazioni con lui erano entusiasmanti, Davoli a volte arrivava su rombanti auto sportive". E a proposito di cinema, Acquisti si ricordava anche di quando Pasolini avrebbe voluto usare "la nostra filarmonica" per la colonna sonora di "Salò o le 120 giornate di Sodoma", ultimo film, il più "maledetto", del regista.

Poi Davoli si fa una sua famiglia, ma Pasolini tornerà ancora ad Arezzo. Acquisti,sempre nel 2012, lo ricordava nel suo locale insieme a Pino Pelosi, detto la "Rana", poco prima del delitto che il 2 novembre 1975, non a caso il Giorno dei Morti, scuoterà l’Italia. Lo scrittore a tavola con il suo assassino, pare una leggenda. Eppure lo stesso Pelosi scriverà nelle sue memorie di una frequentazione con Pasolini cominciata già qualche mese prima dell’omicidio misterioso di Ostia. L’ultima coincidenza maledetta, in chiave tutta aretina, dello scrittore maledetto per antonomasia.