"Nessun dolo e prestiti corretti": ostacolo alla vigilanza, perché assolti Fornasari & c.

Le motivazioni della sentenza sull’ex presidente Bpel, Bronchi e Canestri. Per il Gup «non c’è penale, solo sanzioni amministrative». Sofferenze:«Non volevano nasconderle»

Luca Bronchi e Giuseppe Fornasari

Luca Bronchi e Giuseppe Fornasari

Arezzo, 9 maggio 2017 - Non ci fu dolo, cioè tentativo di nascondere la vera situazione finanziaria di Banca Etruria, nella sottovalutazione dei crediti deteriorati nel bilancio 2012. E lo spin-off con il quale nello stesso bilancio fu portata a termine l’operazione Palazzo della Fonte di cessione di gran parte del patrimonio immobiliare di via Calamandrei era una vendita reale, non fittizia. Di più: i finanziamenti concessi da Bpel a quattro degli imprenditori partecipanti al consorzio di acquisto furono normali operazioni di mercato e in ogni caso non avrebbero ostacolato la corretta rappresentazione dell’affare a Banca d’Italia.

Eccola la sentenza con la quale il Gup Anna Maria Lo Prete giustifica le assoluzioni dell’ex presidente Giuseppe Fornasari, dell’ex direttore generale Luca Bronchi e del direttore centrale, tuttora responsabile del Risk Management David Canestri dall’accusa di ostacola alla vigilanza di via Nazionale.

Ecco le motivazioni che i protagonisti attendendevano ansiosamente dal 30 novembre in cui fu pronunciato il clamoroso verdetto, in contrasto con tutte le aspettative della vigilia, che lasciò attoniti i Pm del pool che indaga sul caso Etruria e l’avvocato di Banca d’Italia che si era costituita parte civile. Il giudice Lo Prete, che a fine aprile ha lasciato l’ufficio Gip per tasferirsi al civile, ha depositato la sua sentenza venerdì scorso, ma i protagonisti ne hanno preso visione solo ieri, alla riapertura del Palazzo di giustizia. Ora scattano i termini per la presentazione dell’appello.

E fin da ora si può dare per scontato quello dei Pm, ancora convinti che l’ostacolo alla vigilanza ci sia stato eccome. Non è però il parere del Gup cui toccava il verdetto, che impiega 104 pagine per spiegare perchè ha assolto, equamente divise fra i due capi di imputazione: quello per la non corretta rappresentazione dei deteriorati, che le due ispezioni di Banca d’Italia corressero decisamente al rialzo e quelle sulla Palazzo della Fonte. Cominciamo da quest’ultimo, il più spinoso, e anche quello su cui la procura si sentiva più sicura.

C’erano infatti quattro linee di prestito dalla banca ai soci del consorzio sui quali Banca d’Italia e Pm non avevano dubbi: è ostacolo alla vigilanza. No, ribatte il giudice: i crediti a Farmagest,Mineco Srl e Cogim furono concessi a normali tassi di mercato e dopo istruttorie corrette, non affrettate e strumentali come riteneva l’accusa. Quanto a quello a Gema 96 è addirittura difficile ricondurlo all’operazione di spin off. E poi sono comunque 6,4 milioni, ben lontani dalla soglia di 8,7 su 87 dell’affare (il 10%) che non inficiano la plusvalenza ai fini del patrimonio di vigilanza.

Ancora: sbagliava l’ispettore di via Nazionale Emanuele Gatti a ritenere l’operazione fittizia, ordinandone il congelamento sul bilancio. Fu invece, sempre secondo il giudice, una true sale, una vendita reale, che oltretutto non implicava per Etruria il mantenimento del ruolo di controllo sul consorzio (autopilot). «Non vi è riscontro alcuno di un’informazione decettiva a Banca d’Italia a carico dei dirigenti di Banca Etruria incriminati, non sussiste neppure la ragion d’essere o la motivazione remota della presunta condotta di ostacolo...nessuna falsa informazione è stata resa a Banca Italia circa l’adeguatezza delle proprie condizioni patrimoniali in esito allo spin off». Il Gup Lo Prete si ferma qui, ma c’è da giurare che non finisce così.