
Nenci fra arte e tormenti. S’innamorò della pittura in casa di una ricamatrice di paramenti sacri
Fornasari
La presenza nella mostra sui Preraffaelliti a Forlì di un’incisione di Carlo Lasinio (1759-1838) su disegno di Francesco Nenci, pittore assai spesso impegnato in disegni per incisioni destinate a importanti imprese editoriali, offre l’occasione per raccontare la storia dell’artista anghiarese, recentemente rivalutato.
La personalità artistica di Nenci risulta bene definita dall’autobiografia, che nel 1836, all’età di 54 anni, durante un soggiorno ad Anghiari, sua terra natale, l’artista ha compilato "per rendere giustizia alla propria storia di pittore". Essa offre un’immagine chiara di un uomo dal temperamento sensibile e propenso a chiudersi in sé stesso. Di salute delicata e "disingannato sul carattere degli uomini", scrive di volere con il suo scritto lasciare memoria ai posteri, non assecondando un capriccio personale, ma per rendere giustizia alla sua vita di pittore, amareggiato "sulla fama e sullo stato dell’arte". Oltre a un carattere rinunciatario, che per tutta la vita lo ha reso più propenso "più allo sfogo privato, che alla lotta",
Il motivo costante della sua carriera è la delusione dettata da due eventi: la mancata commissione della Volta della Cappella dei Principi in San Lorenzo a Firenze, affidata dal Granduca Leopoldo II a Pietro Benvenuti, e dopo la morte di quest’ ultimo nel 1844, la disattesa speranza di ottenere la carica di direttore dell’Accademia di Belle Arti di Firenze. Prima di quella data, nel 1827, Nenci con l’appoggio del principe Corsini aveva ottenuto il posto di direttore all’Istituto di Belle Arti di Siena, dove poi è morto il 4 marzo 1850.
Nenci fu sepolto nel monastero di Sant’Eugenio vicino a Siena. Come scrive più di una volta in varie lettere agli amici, Nenci non lasciò volentieri Firenze, dove aveva vissuto per trent’anni e dove aveva molti amici. Negli anni Venti, che per l’artista sono stati ricchi di incarichi molto prestigiosi, emerge un Nenci non ancora amareggiato bene introdotto nel clima spensierato dell’accademia fiorentina. Nelle sere d’estate gli allievi dell’Accademia prendevano il fresco sui muriccioli di Piazza San Marco, componendo canzoncine per attirare l’attenzione delle belle signore e pare che l’anghiarese avesse un vocione di tutto rispetto. Sono questi gli anni della sua relazione con Eugenia Bellini, donna coniugata. Nel 1830 Nenci sposò ad Anghiari Maddalena Galli, detta Nena.
Il trasferimento a Siena fu senza dubbio un momento difficile, ma sebbene più volte avesse chiesto di "essere tolto" dalla città da lui odiata, in realtà qui non solo fu molto apprezzato per la sua attività didattica, ma ricevette importanti commissioni, tra cui la decorazione di Palazzo Chigi Zondadari. Riceveva un compenso assolutamente non misero, alloggiando con la famiglia nella bella villa di Uopini, acquistata dai Mocenni e da lui con l’aiuto degli allievi affrescata in alcuni ambienti. Figlio di Sigismondo e di Maria Maddalena Matassi, mercanti di modesta condizione, egli nacque ad Anghiari il 19 aprile del 1792. "Frequentando la casa di una certa signora Doni", ricamatrice di pianete e di "altri arnesi di culto", Francesco si innamorò del disegnare.
Dopo un iniziale apprendistato in patria presso un tale Alessandro Fusai, ornatista, nel 1795 decise di andare a Città di Castello, dove Tommaso Maria Conca dipingeva la cupola del Duomo. Grazie poi alla protezione della contessa Luisa Barbolani di Montauto, Nenci, ormai quindicenne, iniziò a frequentare l’Accademia fiorentina, dove dal 1804 fu suo maestro Pietro Benvenuti. Immediatamente vinse premi, affermandosi anche presso l’Accademia di Milano, aggiudicandosi un premio con un quadro con Zenobia tratta dalle acque del fiume Arasse nel 1809. Da questa occasione ebbe inizio il successo dell’anghiarese, che nel 1811 si aggiudicò il premio per andare a Roma, accompagnato da ottime raccomandazioni di Benvenuti e di Canova. Il soggiorno romano fu prolungato fino al 1816 e nella città papalina lasciò un ottimo ricordo.
La lettura del ricco materiale documentario conservato all’Accademia Petrarca di Arezzo aiuta a conoscere aspetti anche intimi della sua vita, oltre che della sua intensa attività artistica. L’erede Carlo Nenci, medico dell’ospedale psichiatrico di Arezzo e nipote dell’artista, ha donato tra il 1953 e il 1956 all’Accademia Aretina una raccolta di 453 disegni, oltre a un ricco epistolario di circa mille lettere, tra spedite e ricevute.
Prima del crollo finanziario che Carlo Nenci ebbe a partire dal 1934, a causa del quale fu costretto all’alienazione di tutti i suoi beni, in Arezzo la famiglia Nenci abitava in un aristocratico palazzo, già De Giudici, in via Ricasoli. A suo tempo quest’ultimo era stato acquistato dall’ingegnere Francesco Nenci, figlio del pittore, morto nel 1919.
Il fondo Nenci dell’Accademia è stato ultimamente arricchito da un’ulteriore donazione di fogli del Nenci da parte della vedova e degli eredi di Massimo Perlini, collezionista raffinato di opere dell’anghiarese. Della donazione Nenci all’Accademia fa parte anche un busto di gesso con il ritratto del pittore, che trova corrispondenza con il bozzetto di un Autoritratto, forse quello che Nenci ha rifiutato di dare ad Antonio Ramirez di Montalvo, all’epoca direttore dell’Accademia. Scrive che non si sentiva degno di avere la propria effigie tra tanti antichi maestri. Lo sguardo corrisponde al sonetto che a lui ha dedicato il poeta Tommaso Sgricci, suo amico, definendolo di "nobil cuore ed elevata mente".