STEFANO PASQUINI
Cronaca

Nel Purgatorio la vendetta di Ghino di Tacco contro l’ex podestà Benincasa da Laterina

Il famoso nobile-bandito che dominava il passo dalla Rocca di Radicofani guidò una spedizione a Roma e gli tagliò la testa con la spada

Stefano Pasquini

Quiv’era l’Aretin che da le braccia

Fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte (canto VI Purgatorio, versi 13-14)

Il protagonista di questi versi, denominato "l’Aretin", è Benincasa da Laterina. All’epoca Laterina era un castello tra il Valdarno medio e il superiore, sulla via per Arezzo. Dante ci informa soltanto che "l’Aretin" fu ucciso ("ebbe la morte") dalle feroci ("fiere") braccia di Ghino di Tacco.

Benincasa da Laterina fu un giureconsulto, esperto in diritto civile, che aveva insegnato nello studio di Bologna di Accorso da Bagno, famoso autore di una raccolta di circa 97.000 glosse, all’intero testo del Corpus iuris civilis, chiamata la Magna glossa, Glossa ordinaria o Glossa magistralis, fondamento del diritto comune europeo. Benincasa era dunque un intellettuale di altissimo livello nel panorama italiano dell’epoca.

Dopo quest’epoca di studi, tornò in Toscana, dove assunse il ruolo di giudice in vari comuni e, alla fine, nella città di Siena, passata in mano ai guelfi, ove divenne anche vicario del podestà, conte Guido da Battifolle. Il 25 ottobre 1285 il podestà dovette lasciare Siena per un’operazione militare e così Benincasa restò, come vicario, alla guida della città. Durante questo periodo Benincasa si trovò a dover giudicare dei briganti. Per sua sfortuna si trattava di familiari del famoso Ghino di Tacco.

Ghinotto di Tacco, detto Ghino, nacque, nella seconda metà del XIII secolo, a La Fratta, un castello oggi situato nel comune di Sinalunga (SI).

Suo padre era il nobile ghibellino Tacco di Ugolino, che apparteneva all’aristocratica famiglia Cacciaconti. Dopo il 1270 il governo della Repubblica di Siena passò ai guelfi e quindi tutti i ghibellini, fra cui i Cacciaconti, diventarono nemici da combattere.

La famiglia Cacciaconti uscì quindi dalla legalità, divenendo anche artefice di rapine e malefatte, per reperire le risorse economiche necessarie per mantenere la propria autonomia. Cominciò allora ad operare la Banda dei Quattro, composta dai fratelli Ghino di Ugolino e Tacco di Ugolino, nonché dai figli di quest’ultimo, Ghino di Tacco e Turino di Tacco.

Lo Stato di Siena si trovò quindi costretto a condannare i ribelli e ad organizzare una spedizione per la loro cattura. I componenti della Banda dei Quattro furono arrestati proprio nell’anno 1285, quando le funzioni podestarili erano state assunte da Benincasa da Laterina, che fu inflessibile nell’applicazione della legge. I fratelli Ghino e Turino furono rilasciati in quanto minorenni. Il padre e lo zio vennero invece messi in prigione e qui torturati con la corda per circa un anno.

Infine il giudice Benincasa ordinò l’esecuzione della condanna a morte per Ghino di Ugolino e Tacco di Ugolino. I due furono giustiziati in piazza del Campo a Siena nel 1286. Possiamo immaginare la terribile sofferenza per Ghino di Tacco nel vedere il padre e lo zio prima torturati per lungo tempo e poi uccisi orrendamente.

Dopo qualche anno Benincasa da Laterina venne nominato senatore ed auditor presso la corte dello Stato Pontificio e si trasferì a Roma, proseguendo ad esercitare la propria funzione di giudice.

Ghino di Tacco crebbe e infine si impossessò della Rocca di Radicofani, posta al confine dello Stato Pontificio. Nacque la leggenda del brigante gentiluomo. Sotto la Rocca passava infatti la famosa via Francigena, che conduceva fino a Roma, utilizzata anche da molti pellegrini.

Ghino assaltava i viaggiatori ma con una modalità particolare. Si curava infatti di lasciare loro almeno un minimo di beni per poter sopravvivere ed offriva ad essi anche un banchetto di commiato. Inoltre pare che Ghino distribuisse parte del mal tolto alla gente povera che risiedeva nel territorio circostante.

Restava però nel suo animo l’enorme sofferenza per il ricordo dei supplizi atroci subiti dal padre e dallo zio. Decise allora di cimentarsi in un’impresa impossibile. Guidò una truppa di quattrocento uomini alla volta di Roma. Riuscì ad entrare armato dentro il tribunale nel Campidoglio, dove il giudice Benincasa da Laterina teneva udienza. Così Ghino aggredì Benincasa nella sala di udienza e gli tagliò la testa con una spada, riuscendo poi a lasciare il palazzo indisturbato e portandosi anche dietro quel macabro trofeo. Tornato a Radicofani sano e salvo, espose la testa del giudice sopra una picca e ce la lasciò per molto tempo.

La storia di Benincasa da Laterina e di Ghino di Tacco è sicuramente emblematica della vita sociale della fine del Duecento perché ci dimostra come le istituzioni pubbliche fossero deboli all’epoca e come tutto ancora fosse riferibile al piano personale.

Per Ghino di Tacco non era stata la Repubblica di Siena ad aver condannato suo padre e suo zio, bensì Benincasa da Laterina personalmente. L’uccisione del giudice poi non ebbe conseguenze particolari per Ghino, quasi che fosse accettata la legittimità della sua vendetta. Ciò appare veramente singolare se si considera come l’attentato contro un magistrato, perpetrato poi in un’aula di giustizia, costituisce a tutti gli effetti un crimine contro lo stato.