Salvatore Mannino
Cronaca

Moretti, interrogatorio di 8 ore: così pagai la cena a Padoan

"Beppe era Fanfani, mi disse di fidarmi dei Pm". "Io mi occupavo di vino e tenuta Setteponti, del resto non so niente". E dalla difesa scatta la richiesta di messa in libertà

Antonio Moretti

Arezzo, 23 febbraio 2019 - Parla ANTONIO Moretti, il re del vino ai domiciliari dalla fine di novembre, parla come un fiume in piena dopo due mesi di ostinato di silenzio che gli erano costati il no del Gip Piergiorgio Ponticelli al ritorno in libertà. Parla per oltre sette ore con il Pm Marco Dioni, titolare dell’inchiesta per autoriciclaggio che lo coinvolge, in un interrogatorio cui è presente anche il tenente colonnello Peppino Abruzzese, comandante del nucleo di polizia tributaria che ha svolto le indagini dalle quali la famiglia Moretti è stata decapitata.

Alla fine, quando il patron lascia l’ufficio di Dioni, alle sei di sera, i suoi avvocati Michele Campanello eMauroMesseri hanno già depositato una nuova istanza di revoca dei domiciliari che avrà il sì del Pm. Moretti spera che stavolta Ponticelli non abbia niente da eccepire. Il re del vino racconta gli affari di famiglia, dà la sua versione sugli intrecci pericolosi che sono costati a tutti l’accusa di autoriciclaggio, ma si spiega anche sulla parte più colorita dell’inchiesta, quella riguardante le pressioni su politici e generali della Finanza per ammorbidire i processi già in corso e la cena elettorale dell’ex ministro dell’economia Pier Carlo Padoan pagata a Foiano direttamente dalla tenuta Setteponti.

Il patriarca ammette che il “Beppe” di cui si parla nelle intercettazioni ambientali captate nel suo ufficio, è Giuseppe Fanfani, ex sindaco di Arezzo, quando era membro del Csm. Ma, mette le mani in avanti, non ci fu niente di illecito. Io andai da Fanfani a chiedere aiuto per districarmi nel groviglio giudiziario in cui mi trovavo e lui mi disse solo che dovevo fidarmi del lavoro dei magistrati aretini che conosceva benissimo e che descriveva come bravi, onesti e competenti.

Quanto ai contatti con i vertici della Finanza, il re del vino ammette solo di aver parlato col generale Michele Adinolfi, già comandante in seconda del corpo, all’epoca in pensione: gli confidai di sentirmi perseguitato dalle Fiamme Gialle aretine ma lui mi consigliò di aspettare la fine delle verifiche e poi di cercarmi un bravo fiscalista. Delle pressioni su altri due generali della Finanza, Michele Carbone ed Edoardo Valente, Moretti dice di non ricordare niente.

Su Padoan, il patriarca non nega la conoscenza, in particolare fra la sua compagna Paola Santarelli e la moglie dell’allora ministro, ma ancora una volta nega di aver tentato di addomesticare gli accertamenti a suo carico. Il capitolo più scottante, perchè potenzialmente può costare un’accusa di finanziamento illecito ai partiti, è la cena elettorale offerta a Padoan a Foiano nel febbraio 2013, alla vigilia delle politiche.

Pagò la Setteponti, ammette Moretti, e il tutto fu registrato come evento pubblicitario perchè alla serata furono presentati i vini della tenuta e non come contributo politico. Non basterà probabilmente ad evitargli di essere indagato. Infine gli affari. Il re del vino ammette che gestiva lui la Setteponti e anche il Feudo Maccari, in Sicilia.

Lui, dopo che erano stati separati i ruoli, si occupava solo di enologia, non più di abbigliamento e immobili, affidati al figlio Andrea. Il suo amico e finanziatore Stefano Roma? Ci sono solo andato a caccia un paio di volte. Semmai, dice, ho rimproverato Andrea qualche volta perchè attingeva troppo alle risorse del gruppo, del resto non so niente.