
Maxi-furto: gioielli sulla via della fuga Taglio nella rete, c’era un basista
di Lucia Bigozzi
Un sentiero tortuoso, tra le querce di un boschetto che costeggia l’autostrada del Sole. La rete di recinzione tagliata per aprire un varco: dall’altra parte, l’area di sosta Laterina sud e pochi metri più avanti, la corsia che porta lontano. Probabile via di fuga dopo l’assalto nel cuore della notte, alla Jessica Jewels di Ponticino. E’ in questo spicchio di terreno che i carabinieri hanno trovato le tracce del passaggio dei banditi: gioielli seminati "quasi come il cammino di Pollicino", dice Marco Benedetti, l’imprenditore che ieri mattina ha formalizzato la denuncia del furto di oro e argento che ammonterebbe a circa seicentomila euro. E’ il passaggio formale che affianca le indagini degli specialisti dell’Arma, a caccia di ogni dettaglio per risalire al commando che giovedì notte ha messo in atto un piano d’assalto impressionante, per tecnica e precisione. Ora, i tasselli di come tutto è accaduto si ricompongono nel puzzle degli investigatori: prima il furto di un’utilitaria a Laterina (una Ypsilon) lanciata come testa di ariete contro il cancello e poi contro una delle porte di ingresso dell’azienda. Poco prima, via Martiri del lavoro diventa la scena di un film: i banditi abbattono un grosso pino con il quale creano una barricata sulla strada per chiudere il passaggio. Fanno altrettanto in una strada secondaria sul retro dell’azienda: qui segano tre querce e dispongono i tronchi a creare una cintura per isolare l’edificio. Poi disattivano l’illuminazione pubblica nella zona industriale. Niente nel piano del commando è casuale: la porta divelta con l’auto e poi forzata, conduce in una zona del reparto produzione (una superficie di oltre duemila metri quadrati) dove c’è una cassaforte da 80 quintali. I malviventi avrebbero puntato proprio a quel forziere perchè pare fosse stato appena "caricato" con un quantitativo di lingotti in oro. Un particolare che emergerebbe dagli accertamenti e, se confermato, avvalorerebbe l’ipotesi di un basista che ha venduto informazioni e logistica ai professionisti della banda. Da quanto emerge, pare che abbiano agito a colpo sicuro, ovvero sapevano come muoversi e dove concentrare l’azione.
Il ruolo di un basista è l’altra chiave di volta nelle indagini sulla quale lavorano i carabinieri. La caccia è aperta. Anche perchè, in azienda "ci sono tre caveau interni e altre cassaforti" spiega Benedetti. Un elemento in più che fa pensare a un’azione chirurgica, per tecnica di esecuzione e tempistica, sincronizzata con l’allarme scattato dopo il blitz e l’esplosione della cassaforte fatta saltare con acetilene. Una deflagrazione che ha "scaraventato le pareti contro alcuni macchinari e abbattuto muretti divisori tra le diverse sezioni del reparto produzione", spiega l’imprenditore. Quando è scattato l’allarme, il commando ha chiuso la razzia e con molta probabilità preso il sentiero nel boschetto, oltrepassato il varco aperto nella recinzione e contato sul supporto di un’auto con al volante un complice. Pochi attimi, seppure in una fuga precipitosa, che ha fatto sì che i banditi seminassero per strada una parte della refurtiva. Attimi, quanto basta per dileguarsi nel buio, verso sud.
L’ipotesi di un basista, "è uno degli aspetti più brutti, perchè insinua una diffidenza latente", sottolinea Benedetti che dà lavoro a 84 persone e a un centinaio nell’indotto. Dal ’91 al 2002 ha subito tre furti, ora un nuovo colpo, ma non si arrende. "Sono riuscito a non interrompere la produzione, andiamo avanti con gli ordini da onorare". E’ appena rientrato dalla fiera di Hong Kong e a maggio sarà a Oroarezzo. In mezzo, un raid da cinquecentomila euro, una fuga da Pollicino e la solidarietà "di tanti imprenditori che mi hanno chiamato e ringrazio". E’ quello che serve per ricominciare.