LILETTA
Cronaca

Masaccio, un valdarnese fra Firenze e Roma Rivoluzionò l’arte del primo Rinascimento

Nato a San Giovanni, figlio di un notaio, aveva un fratello anche lui pittore. Lavorò solo 4 anni ma gli bastarono per un’impronta decisiva

Liletta

Fornasari

Intorno all’anno 1500 Leonardo da Vinci non fa mistero della sua ammirazione per Masaccio (1401-1428) annotando nel Libro di pittura che dopo Giotto “l’arte ricadde, perché tutti imitavano le fatte pitture, e così andò declinando, insino a tanto che Tommaso fiorentino, scognominato Masaccio, mostrò con opra perfetta come quelli che pigliavano per altore altro che la natura, maestra de’ maestri, s’affaticavano invano”. Cinquanta anni dopo anche Giorgio Vasari tesse le lodi di Masaccio, giudicandolo "il più moderno che si sia mai visto" . Tale giudizio è rimasto immutato anche nei secoli successivi, fino ad arrivare alla famosa definizione data da Bernard Berenson, per il quale Masaccio era un Giotto "born again". Strepitoso poi il celebre saggio di Roberto Longhi, che come in un set ha immaginato i dialoghi di Masaccio con Masolino (1383-1440 circa), peraltro suo conterraneo, oltre che collega più anziano, -e non maestro- sui i ponteggi della cappella Brancacci in Santa Maria del Carmine di Firenze, prima che il secondo lasciasse l’impresa per partire per l’Ungheria con Pippo Spano.

E’ indubbio che la portata innovativa di Masaccio, valdarnese di San Giovanni, uno dei giganti della Sala dei Grandi dipinta da Adolfo De Carolis e anche uno di coloro che contribuirono alla famosa frase di Carducci, seocndo la quale "basterebbe Arezzo a fare la gloria d’Italia", che da Ingres è stata definita “la culla della bella pittura”, , sia stata determinante rispetto a Masolino, sebbene talentuoso, ma esponente di un linguaggio non “moderno”, “presentando un mondo di uomini profondamente coscienti della propria dignità, schivi di ogni bellezza, che non sia quella morale”. Già Antonio Manetti (1423-1497), celebre umanista, architetto e matematico fiorentino, nonché biografo di Filippo Brunelleschi, ha indicato la parte dipinta da Masaccio come quella “meravigliosa”. La storia degli affreschi inizia molto probabilmente con l’incarico dato a Masolino da Felice Brancacci, ricco mercante di sete, che ha ricoperto incarichi importanti per la Repubblica fiorentina. Poi è subentrato Masaccio, che poco dopo il 1422 aveva dipinto nella stessa chiesa un monumentale affresco (perduto) raffigurante la Sagra, ovvero la processione solenne fatta il 19 aprile del 1422 per la consacrazione. A sua volta Masaccio nel 1427 o 1428 abbandonò l’impresa per raggiungere Masolino A Roma dove morì nell’estate del 1428. La sua morte improvvisa per cause ignote colpì molto Filippo Brunelleschi, che pare commentasse l’accaduto dicendo “noi abbiamo fatto una grande perdita”.

La cappella fu completata da Filippino Lippi nel 1482, dipingendo le scene della parte inferiore, in parte lasciate incompiute da Masaccio. La volta a crociera con i Quattro Evangelisti, due di Masaccio e due di Masolino, era stata già sostituita dalla volta affrescata da Meucci e Sacconi nel 1746-1748. Sono andate perdute le scene nelle lunette superiori di entrambe le pareti laterali, anch’esse rispettivamente dipinte, a destra da Masaccio e a sinistra da Masolino, e alcuni episodi nella parete di fondo. Masolino e Masaccio lavorarono separatamente a scene diverse.

Le storie da dipingere, in grandissima parte per fortuna ancora visibili, nella cappella Brancacci sono legate alla vita di San Pietro, protettore della famiglia. Nel 1426 forse Masaccio si era allontanato dal cantiere perché impegnato a Pisa in un grandioso polittico, oggi smembrato e distribuito in vari musei del mondo, che gli fu commissionato da un influente notaio pisano, Giuliano di Ser Colino degli Scalzi. A Pisa insieme a Masaccio molti dovevano essere gli aiuti, tra cui il fratello Giovanni di Ser Giovanni detto lo Scheggia che, attivo anche ad Arezzo, è stato ritratto pure nella cappella Brancacci, riconoscendolo nel volto del giovane malinconico che nella scena con San Pietro che risana gli infermi segue l’apostolo.

Poco conosciamo della sua famiglia. Tommaso di ser Giovanni detto Masaccio pe la sua tanta “trascurataggine”, come scrive Vasari, è nato il 21 dicembre del 1401 a Castel San Giovanni in Altura, oggi San Giovanni Valdarno. Pare che la famiglia di Tommaso fosse abbastanza agiata, considerando che il padre ser Giovanni (1380-1406) era notaio e il nonno Mone (sta per Simone) apparteneva ad una famiglia di cassai (odierni mobilieri), come attesta il nome del bisnonno Andreuccio Cassai. La madre di Masaccio era figlia di un oste di Barberino del Mugello e rimase vedova quando Masaccio aveva soli cinque anni ed era appena nato Giovanni.. Dopo il 1417 Masaccio risulta abitare con la madre a Firenze in Oltrarno e già a diciassette anni è menzionato “dipintore”. Controversa è la sua formazione artistica e ancora aperte sono alcune questioni relative alla successione cronologica di alcune opere. Nel 1422 si inscrive all’Arte dei Medici e degli Speziali. Datato 23 aprile del 1422 è il Trittico di San Giovenale di Cascia di Reggello, prima e unica opera datata di Masaccio. Oltre alla cappella Brancacci, gli anni cruciali, quattro in tutto, vedono l’affresco con la Santissima Trinità in Santa Maria Novella, la Sant’Anna Metterza (Uffizi) per Sant’Ambrogio a Firenze, opera fatta nuovamente in collaborazione con Masolino, la Madonna del solletico per il Cardinale Casini(Uffizi) e il desco da parto con la Natività della Vergine, ora a Berlino. Nell’affresco aretino di Adolfo De Carolis Masaccio è rappresentato di profilo, con un ampio mantello rosso. Stando a Vasari, il giovane non era attento alle cure e alle cose del mondo, così come al vestire. Dalla seconda metà del Settecento il riconoscimento delle sue fattezze è stato oggetto di dibattito.

Era opinione comune che i suo tratti fossero quelli dell’ultimo apostolo a destra nella scena del Tributo della cappella Brancacci o quelli dell’ultimo personaggio che si affaccia nella Disputa di San Pietro con Simon Mago, largamente diffuso da una celebre acquaforte di Thomas Patch. Probabile che un presunto autoritratto del nume tutelare della pittura quattrocentesca sia nella scena con San Pietro in Cattedra, con giubbone rosso e con un fitta capigliatura di riccioli e il naso lungo.