di Luca Amodio
AREZZO
"Presenza strutturata, stabile e consolidata di ’ndrangheta e camorra". Così la Direzione investigativa antimafia nel suo ultimo rapporto, quello relativo al secondo semestre del 2022, sul ruolo delle organizzazioni mafiose sul territorio toscano e aretino. La Dia utilizza le parole del prefetto di Firenze, Francesca Ferrandino, per introdurre il ruolo delle consorterie criminali che in maniera sempre più pervasiva si stanno infiltrando nel tessuto socio economico del nostro territorio. Secondo gli investigatori antimafia, le mafie calabresi e campane si sono avvalse, non soltanto di imprenditori compiacenti o difficoltà economiche, ma anche di quel network di relazioni che sono riusciti a tessere: così hanno messo in piedi collaborazioni con professionisti, cercando appoggi o agevolazioni da parte di funzionari pubblici. I principali ambiti di interesse delle cosche mafiose rimangono l’ambito alberghiero, gli appalti pubblici e, specie nell’Aretino, lo smaltimento illecito di rifiuti: tutti settori in cui i clan reinvestono i proventi di estorsioni, usura e traffico di droga.
Proprio nell’ambito dei rifiuti, le due inchieste, Calatruria e Keu, della Direzione distrettuale antimafia di Firenze, hanno portato alla luce propaggini ’ndranghetiste dedite "a generare un illecito regime di monopolio nel trasporto degli inerti dalla zona del Valdarno aretino a quella delle province di Firenze e Pisa nonché plurimi reati, aggravati anche dal metodo mafioso, volti ad estromettere o assoggettare alle proprie strategie commerciali altri imprenditori locali".
In questo ambito gli investigatori della direzione antimafia ricordano il provvedimento di confisca emesso dal tribunale di Firenze nei confronti dell’imprenditore calabrese Francesco Lerose, residente a Pergine, arrestato nel 2021 nell’ambito dell’operazione Keu. Era lui, spiega la Dia, a gestire nei suoi impianti a Bucine e Pontedera "il traffico di rifiuti speciali in Toscana grazie al quale aveva accumulato una ricchezza sproporzionata". A Lerose erano stati confiscati beni per un totale di 5 milioni di euro tra auto, conti e fabbricati. Ma non soltanto organizzazioni mafiose.
Nel mirino della Dia è finita anche un’organizzazione indiana, diffusa su tutto il territorio nazionale con base anche ad Arezzo, dedita allo sfruttamento di lavoratori bengalesi e pakistani. Secondo gli investigatori, il sodalizio reclutava lavoratori in stato di necessità nei loro paesi di origine che poi finivano a lavorare in cooperative in Italia. Parte del loro stipendio era trattenuto dai criminali creando un vincolo di pseudoschaivitù.