
Fulmineamente ottenuto Fronzola, il vescovo Guido Tarlati puntò verso sud, percorrendo, probabilmente, un tratto della strada lungo la sinistra dell’Arno. Tale percorso pare quello più probabile, in quanto giungere a Castel Focognano attraverso il passo di Poggio Civitella (conosciuto anche come Civitella Secca, ove esisteva una fortificazione ben più antica), avrebbe comportato intraprendere un percorso montano inidoneo per il contingente militare con al seguito le necessarie squadre di genieri o tecnici militari con tutte le attrezzature.
Giunto dunque presso Rassina, il contingente dovette attraversare l’Arno mediante il “pontem de Soka”, l’antico ponte sull’Arno a Pieve a Socana, ed imboccare la via per Castel Focognano costeggiando il rio Soliggine.
Nei primi giorni di maggio del 1322 dunque, “positus est exercitus arretinus apud Castrum Focognani” in cui si trovavano uomini “reputati di parte contraria [al vescovo aretino], e che nella guerra dinanzi [cioè nella presa di Fronzola] avevano tenuto co’ i Fiorentini e cogli usciti d’Arezzo”, precisa la Cronaca del Villani.
Nonostante quest’ultimo riferisca che Castel Focognano fosse “fortissimo e ben fornito i Fiorentini, a richiesta dei conti e de’ signori del Castello Focognano, mandarono in Casentino trecentocinquanta cavalieri” con la missione di fornire tutto il supporto necessario “per levare il detto assedio”.
Le turbolente vicende politiche e militari della Toscana del primo ventennio del Trecento, avevano recentemente visto la potente alleanza del Tarlati con Castruccio Castracani incombere su Siena e Firenze. Nell’ottica fiorentina risultava necessario, oltreché prestare aiuti ai collegati Guelfi di Castel Focognano, allontanare da Firenze stessa ogni nuova possibile minaccia ed impegnare oltre il Pratomagno il vescovo aretino.
Sulle modalità degli eventi le fonti forniscono differenti versioni.
La storia la fa che la scrive, ovviamente.
L’annalista aretino punta l’accento sulle ardite tecniche ossidionali poste in atto dal vescovo, mentre Giovanni Villani, filofiorentino, registra la resa del castello per tradimento. Villani narra che il Tarlati ebbe a congiurare “con uno piovano di que’ signori del castello” di talchè “ebbe a patti il detto castello, ch’era fortissimo e ben fornito; e come gli fu renduto, sanza attenere patti il fece tutto ardere, e poi diroccare infino a’ fondamenti”. La versione è dettata probabilmente da una prospettiva militarmente meno gloriosa per gli Aretini.
Ciò che invece conserva la formella del cenotafio del vescovo Guido, nella cattedrale aretina, è soltanto l’evento finale, quello della resa dei castellani, in supplica, dinanzi al vescovo protetto da una imponente targa con l’insegna Tarlati. Tra i personaggi che circondano Guido è assiso, fa sfoggio la figura di un armato con il pettorale con l’insegna Tarlati: un generale, dalla completa armatura trecentesca, forse il fratello Piero Saccone, committente dell’opera marmorea.
Opposta è la realtà registrata dall’annalista aretino. Essa è sinteticamente condivisa anche da Leonardo Bruni e relativa ad un tecnicamente avanzato piano d’assedio da parte del vescovo Tarlati.
Una volta disposti i vari corpi del contingente aretino, l’abbondante disponibilità di legno proveniente dalle vicine montagne dovette permettere la celere costruzione di macchine ossidionali, quantomeno a scopo di intimidazione psicologica, nonché di strutture impeditive di ogni movimento da parte degli assediati, in modo da cingere d’assedio Castel Focognano ermeticamente.
Dunque, isolato in poco tempo il poggio, secondo gli Annales di Arezzo, i genieri, le squadre di zappatori e “cavatores”, “cavando saxum et terram”, dovettero intraprendere – nascosti alla vista degli assediati da una costruzione campale o mediante ripari in legno– lo scavo di un tunnel, una galleria, che potesse sboccare all’interno del recinto murato e quindi all’interno della fortificazione, eludendo l’ostacolo delle mura. Le fulminee operazioni ossidionali, svoltesi secondo il Bruni “dì e notte”, durarono circa due settimane, mentre, una volta conquistato Castel Focognano, dovette essere lasciato sul posto un presidio di sorveglianza alle operazioni di smilitarizzazione per circa sei mesi.
Le modalità dell’assedio narrate dall’annalista aretino suscitano, tuttavia, alcune valutazioni circa la veridicità, fattibilità d’esecuzione, di quanto narrato, sebbene non vi siano elementi certi per escludere l’impiego della tecnica di mina. Inoltre deve essere tenuta in considerazione la faziosità del cronista aretino, filo-ghibellino, che nutre una vera ammirazione per il suo vescovo. Di converso, ciò si scontra con l’animo del fiorentino Villani, che non sempre riesce ad essere oggettivo ed aderente alla realtà dei fatti, relegando l’episodio di Castel Focognano, seguito alla presa di Fronzola, risultata anch’essa infausta per i Guelfi, ad un tradimento, espediente minimizzante le capacità tattiche del condottiero Tarlati.