L’arte di Filippini a Venezia. Un’aretina alla Biennale

La pittrice aretina Fiorangela Filippini partecipa alla Biennale di Venezia con un'opera che riflette sul tema dell'estraneità e della redenzione, sottolineando l'importanza di una cultura figurativa inclusiva e anti-razzista.

L’arte di Filippini a Venezia. Un’aretina alla Biennale

L’arte di Filippini a Venezia. Un’aretina alla Biennale

La Biennale di Venezia che, giunta quest’anno alla sessantesima edizione curata da Adriano Perosa, rimarrà aperta fino al 24 novembre 2024, ha come titolo "Stranieri Ovunque - Foreigners Everywhere" e l’intento di sottolineare una poetica e una cultura figurativa contraria a razzismo e xenofobia.

È un onore avere tra i partecipanti appartenenti ad ottantaotto paesi esteri anche una pittrice aretina, Fiorangela Filippini, presente con "Calvario- Morte e Resurrezione- Gesù straniero sulla terra" all’interno del collettivo The Perceptive Group Padiglione Grenada a Palazzo Albrizzi Capello in Cannaregio.

Dopo aver frequentato l’allora istituto d’arte di Arezzo, Fiorangela Filippini si è laureata nel 1970 in scenografia teatrale presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. Ha esordito subito intorno alla metà degli anni Settanta con alcune mostre personali.

Da sempre amante di forti rapporti cromatici e di intensi giochi di luce, ha iniziato alternando in un primo momento la pittura ad olio a quella ad acrilico, per passare poi ai collages su vetro e per arrivare oggi ad una pittura astratta carica di significati, come nel quadro selezionato a Venezia.

Per comprendere bene quest’ultimi, è bene spiegare che il Grenada, isola nel mare dei Caraibi, conquistata in origine dai Francesi con uno sterminio degli indigeni e poi passata al dominio inglese, ha affidato alla curatela di Daniele Radini Tedeschi, un progetto espositivo dal titolo "No man is an island", inspirandosi ai versi del poeta John Donne e coinvolgendo artisti originari dell’isola e internazionali, tra cui a Filippini, tutti orientati verso una ricerca, pittorica o scultorea o fotografica, "proiettata nel sistema complesso di un’identità relazionale", scrive il curatore.

La volontà è quello di dare un "volto collettivo all’umanità", al punto tale che la morte di un uomo diventa un lutto interiore di tutti. Calvario della Filippini emblema il significato di straniero nella persona di Gesù, la cui vita è caratterizzata, scrive l’autrice, "da solitudine trovando l’incomprensione dell’umanità. Egli ha dato la vita per la salvezza e il riscatto degli altri".

La tela della Filippini, che con l’uso simbolico del colore, affronta uno dei temi sacri fondamentali indicando nel grigio l’oscuramento della luce e il percorso di dolore, che culmina nel dramma del Calvario. In alto uno spiraglio di luce, che indica il cammino all’uomo disorientato. Il rosso indica sia la Morte, sia la Resurrezione.

Liletta Fornasari