
L’architetto illusionista. La cupola che non c’è di Andrea Pozzo. La Badia è come Roma
Simone
De Fraja
inganno e l’illusione nell’arte sono state i punti chiave dei grandi artisti. Ma i veri segreti, per non sorvegliare una cassaforte vuota, sono psicologici e non solo fisici. Dopo il grande successo della cupola di Sant’Ignazio a Roma, cupola del resto inesistente ma soltanto frutto di arte illusionistica, fu la volta una falsa cupola ad Arezzo: l’architetto illusionista che la progettò fu lo stesso Andrea Pozzo, non a caso un gesuita come il grande studioso dall’immenso sapere Athanasius Kircker.
Questi si applicò ai più vari campi della scienza seicentesca senza trascurare l’ottica, le potenzialità della luce e del suono; l’opera fondamentale da cui trasse ispirazione Andrea Pozzo fu forse proprio la kircheriana "Ars magna lucis et umbrae". Il museo Kircheriano fu un raro esempio di raccolta d’arte, di strumenti scientifici, automi e lucerne nonché orologi magnetici. Andrea Pozzo, nel 1685, era già considerato un maestro nell’arte della prospettiva ma ciò che creò in Sant’Ignazio a Roma e poi, per la Badia di Arezzo, non è realtà ma solo illusione sopraffina. Presto gli architetti si resero conto di essere in grado, con lo studio della fisica e dell’ottica, di realizzare strutture dipinte illusorio che ingannassero la percezione.
Questo esempio di "inganno visivo" tutto aretino, che unisce gli elementi dell’architettura e della pittura, mira a suscitare nell’osservatore l’illusione e lo stupore, argomento centrale nella teoria e nella prassi artistica del tempo.
La cupola della Badia benedettina di Arezzo assume un’importanza peculiare sia per il periodo di realizzazione, 1701-1702, sia per la sua eccezionale qualità esecutiva. Commissionata dal Priore Vincenzo de’ Chiasserini di Monterchi, fu inaugurata nello stesso anno in occasione della festa delle Sante Flora e Lucilla. La falsa cupola ad Arezzo può essere considerata una delle opere autentiche dell’artista. La sua struttura è intimamente connessa a quella della grande tela di Sant’Ignazio a Roma, riproducendone quasi esattamente il disegno con poche variazioni, ma in una scala notevolmente ridotta. La tela ad Arezzo, infatti, presenta un diametro massimo di 8,20 metri pur rendendo un effetto molto maggiore e fornendo l’impressione di spazi profondi ed ampi laddove si ragiona con misure ben ridotte. L’illuminazione interna dell’opera, proveniente dalla sinistra, è di notevole impatto. La luce, sia essa reale o dipinta, svolgeva un ruolo cruciale nel conseguimento dell’effetto prospettico dell’artificio, come evidenziato da Andrea Pozzo nel suo trattato sull’architettura effimera e le scenografie le quali erano illuminate tramite candele, visibili o celate.
Facendo riferimento al trattato di del Pozzo, si nota come l’idea e la rappresentazione prospettica della falsa cupola presso la Badia delle Sante Flora e Lucilla derivino direttamente dalla figura 91 del primo volume del "Perspectiva pictorum et architectorum", pubblicato dall’artista a Roma in due volumi nel 1693 e nel 1700. Ma come è possibile che una superficie piana, seppur magistralmente dipinta secondo i canoni della prospettiva, riesca a falsare la percezione della realtà? Si tratta di una percezione ingannevole che il nostro cervello "riaggiusta" secondo i propri canoni, facendogli percepire qualcosa che non è presente o facendole percepire in modo scorretto, e dunque diverso e corretto, qualcosa che nella realtà si presenta diversamente. Le illusioni ottiche possono manifestarsi naturalmente o essere dimostrate specifici trucchi visuali che mostrano particolari assunzioni del sistema percettivo umano. Questo tipo di deformazioni non apparteneva solo all’arte della pittura ma era un affascinante ramo della prospettiva, ovvero della miscela di geometria e psicologia della percezione.
Nel 350 avanti Cristo Aristotele osservò che "i nostri sensi possono essere affidabili ma possono essere facilmente ingannati". Ma, alla fine quale è il segreto della cupola di Pozzo? È un esempio di anamorfosi, un termine introdotto nel XVII secolo che significa "dare una nuova forma a una figura". L’anamorfismo è un metodo geometrico che consente di disegnare una figura che appare distorta a chi la osserva frontalmente, ma assume proporzioni corrette da un punto di vista specifico, chiamato punto di vista prospettico: se ne era accorto già Kircher in "Ars magna lucis et umbrae": lo specchio concavo riflette immagini anche poste al di fuori. Prima ancora Leonardo nel "Codice Atlantico" aveva descritto una "prospettiva accidentale" poiché gli oggetti lontani dovevano essere rappresentati con dimensioni maggiori rispetto a quelli vicini, in contrasto con quanto osservabile nella realtà Pozzo, allora, si concentrò su due componenti cruciali del disegno prospettico: "proporzioni" e "misure".
Questi elementi costituiscono la struttura di base necessaria per conferire bellezza alla composizione correndo oltre i confini della decorazione pittorica, tra arte e scienza. E dunque la citazione "Non è difetto ma lode dell’arte" fu espressa da Pozzo nell’ambito del contesto dell’illusione prospettica per giustificare la distorsione apparente delle opere d’arte quando vengono viste da angolazioni diverse rispetto al punto di vista ottimale previsto dall’artista. Allora anche la meraviglia aretina ha un punto debole; una borchia d’ottone sul pavimento della Badia ne segna il limite: la distorsione dell’immagine che appare all’osservatore, l’illusione e la meraviglia, se non ammirata da un punto particolare, si attenua svanendo ma senza togliere nulla alla portata progettuale dell’opera, seconda solo a quella di Sant’Ignazio a Roma.