
La Valtiberina e la sua bellezza non toscana. L’eterno biglietto d’invito lasciato da Piero
Brilli
Fra i grandi estimatori della Toscana, l’inglese Edward Hutton ci ha lasciato nel primo Novecento un originale, incantevole biglietto d’invito in Valtiberina. Fa notare infatti che, superati i monti oltre Arezzo, si dischiude un paesaggio in cui la nitida bellezza delle colline toscane acquista qualcosa di non toscano, una morbidezza, un incantamento che si trovano solo in Umbria, la regione con la quale l’alta valle del Tevere confina.
Il settore toscano della valle presenta al viandante un vasto anfiteatro montano e collinare delimitato a nord-est dallo scenario dell’Alpe della Luna e dalla Massa Trabaria; a sud dalla vasta piana di Sansepolcro; a ovest dall’Alpe di Catenaia. Un anfiteatro che si fa ampio e pittoresco nel bacino vallivo flessuosamente percorso dal primo Tevere, imponente nell’arco appenninico, morbido e soffuso nel versante collinare.
La dolcezza della veduta muta qua e là con le impennate dei profili montani nei quali si condensano momenti salienti della storia della vallata: il serbatoio di legname della romana Trabaria, il nitido disegno della Verna francescana, lo sperone di Montauto, il guardingo di Monte Santa Maria e le cittadelle murate di Anghiari e di Citerna. Dalla sommità di quest’ultima si gode la vista dell’intera vallata, un panorama che ci è stato restituito in maniera incomparabile dallo storico britannico Trevelyan con toni che suonano oggi inevitabilmente nostalgici: "Lo sbocco del celebre fiume, il Tevere, dopo essere sortito per la prima volta dalla culla montana, ha un effetto particolare sull’immaginazione, infatti la valle attraverso la quale scorre, larga diverse miglia, unisce la frescura dell’alpe con l’abbondanza e la spazialità di una popolosa campagna. La punteggiano, simili a borchie brunite, piccole cittadine di cui Sansepolcro è la principale, e attraverso la ragnatela delle vigne che screzia la piana corre la fila dei pioppi che ombreggiano il corso del Tevere che non è ancora biondo fiume, ma un rivo limpido e azzurro dai mulinelli d’argento". Merita ricordare che lo storico ebbe modo di sostare a Citerna nel 1906 mentre ricostruiva l’itinerario di Garibaldi in fuga dopo la disfatta della Repubblica romana del 1849.
Questa vallata è sempre apparsa come icona di un universo particolare, in sé concluso. Basti ricordare le parole suggestive che affiorano dai taccuini dello scrittore francese Albert Camus: "Vorrei tornare alla fine della mia vita sulla strada che scende nella valle di Sansepolcro, discenderla lentamente, camminare fra i fragili ulivi e i lunghi cipressi e trovare, in una casa dai muri spessi e dalle fresche stanze, una camera nuda e una finestra da cui guardare la sera che scende nella vallata".
Camus era pervenuto in Valtiberina per ammirare gli affreschi di Piero dai quali era rimasto suggestionato sin da quando, studente ad Algeri, li aveva visti in riproduzione nella biblioteca locale. Piero è d’altronde il nume tutelare di Sansepolcro, sua città natale, e della valle nella quale attira un flusso ininterrotto di visitatori appassionati, consapevoli e colti. Il pittore rappresenta il caso più unico che raro di un grande artista che ha mantenuto quale stabile punto di riferimento, e di ricorrente dimora, il paese nativo, e le cui opere più importanti sono ancora oggi comprese in un percorso breve e circoscritto che ha come baricentro Sansepolcro e come terminali Arezzo a ponente e Urbino a levante.
Muoversi lungo questo asse, noto a livello internazionale come The Piero della Francesca Trail, la pista di Piero, e in particolare in Valtiberina, significa passare dall’affresco della Madonna del parto di Monterchi e alla Resurrezione di Sansepolcro, due capolavori assoluti del primo Rinascimento. Mentre non avrebbe alcun senso parlare di viaggio o di pellegrinaggio con riferimento a Raffaello o a Michelangelo, il modo migliore per conoscere Piero della Francesca è quello di andarlo a visitare, per così dire, a casa sua, nella sua terra, e ammirarlo nei luoghi nei quali e per i quali ha dipinto.
Riferendosi al paesaggio dell’Alta Valle del Tevere, la pittrice e didatta americana Dana Prescott, usa a organizzare corsi per stranieri a Civitella Ranieri, nella vicina Umbria, ha affermato di recente che attraversare la valle di Piero rende il viandante maggiormente sensibile ai colori soffusi delle colline, alla sobrietà delle architetture, alle nubi immote dei suoi dipinti. Si direbbe d’altronde che sia stato lo stesso Piero a pretendere dai suoi ammiratori passati e presenti il compimento di un pellegrinaggio nella sua terra, quasi fosse consapevole del culto tardivo tributato alle sue appartate divinità. Un culto che oggi si estende all’intera valle che, con il suo Borgo, Piero ha trasfigurato in un sereno microcosmo. Questo appare in tutta la sua icastica bellezza alle spalle del dipinto con San Gerolamo e un devoto, negli aspri declivi rocciosi che spuntano dietro la capanna della Natività e nelle limpide acque lustrali del Battesimo, vale a dire in dipinti che esaltano il fascino della Valtiberina sia in Italia che all’estero.