La statua del Granduca opera del Giambologna

E’ quella che si trova ai piedi della scalinata del Duomo. Episodio imbarazzante poco dopo: le funi delle campane al collo di Ferdinando

Liletta

Fornasari

La decisione adottata il 5 aprile del 1590 dal Consiglio generale di Arezzo di far fabbricare a spese pubbliche "una statua in marmo" con le sembianze del Granduca Ferdinando I dei Medici, affidandone l’esecuzione allo scultore ufficiale della corte, il celeberrimo Giambologna, deve essere interpretata alla luce della situazione politica di Arezzo e del suo patriziato. Tale considerazione, fatta sia da Luca Berti, che da Franco Cristelli, permette di comprendere molti aspetti della storia del monumento, restaurato nel 2012 per mano di Silvia Dagnino e con la direzione scientifica di Michele Loffredo, ora direttore del Museo Medievale.

La storia ebbe inizio con la decisione suddetta, presa per ringraziare il Granduca "a perpetua memoria della buona amministrata giustizia" e per avere reso Arezzo "città di passo" nel marzo dell’anno precedente. Fu deliberato che si facesse la statua a spese pubbliche con "epitaffio notabile", non a caso molto ossequioso. Alla decisione prese parte anche il vescovo Pietro Usimbardi e il 6 luglio fu creata una commissione di sei cittadini, tra cui Girolamo Torini, medico-filosofo aretino, che il 10 dicembre dello stesso anno si recò a Firenze per trattare con il Giambologna. In questa occasione fu stabilita la posizione sulla scalinata del Duomo, sebbene inizialmente fosse stata avanzata l’ipotesi di Piazza Grande. Sulla collocazione del monumento, avvenuta in data 14 luglio del 1594 "alla piazza di Palazzo dei Magnifici Signori Priori, cioè alla cantonaia, ov’ al presente terminano li scaletti e li balaustri di pietra davanti alla porta del Monsignor Vescovo e di sua Corte", senza dimenticare lo studio fatto nel 1982 da Luciana Borri Cristelli, è importante ricordare un saggio di Maria Luisa Madonna in Arte in terra d’Arezzo. Il Seicento (2003).

La volontà dell’Usimbardi di erigere la statua sulla traiettoria che unisce lo spigolo del Duomo e la cantonata del palazzo vescovile significava all’inizio della sua missione avere spostato sul sovrano, e "quindi recuperata alla chiesa sua complice", "la centralità di uno spazio appartenente alla Comunità", con un intervento che modificò la scenografica scalinata, creando un incrocio virtuale di tutte le traiettorie. Il monumento ha visto la collaborazione di Giambologna e di Pietro Francavilla(1548-1616). Spetta a quest’ultimo avere messo in opera il grande marmo nella bottega del Giambologna, che aveva fornito l’idea, documentata da un piccolo bozzetto in cera, oggi conservato al Victoria and Albert Museum di Londra, utilizzato anche per il Monumento ferdinandeo di Pisa, anch’esso tradotto in marmo da Francavilla.

Un episodio significativo e indice dei cambiamenti dei rapporti tra la Dominante e gli Aretini fu quello delle funi delle campane del Duomo messe al collo della statua granducale nella notte tra il 1 e il 2 febbraio del 1605.L’episodio fu molto imbarazzante per l’aristocrazia aretina e i Priori di Arezzo si affrettarono a nominare "ambasciatore" Pietro Bracci che, accompagnato da Leonardo Accolti, si recò a chiedere grazia al duca stabilendo una taglia di mille scudi a favore di chi avesse fornito informazioni sui responsabili dell’azione criminosa, esempio di protesta politica contro l’establishment, rimasta però impunita.