
di Liletta Fornasari
Nelle vetrine di Mastro Artista ad Arezzo, oggi trasformate grazie all’idea, già segnalata, di Luca Fiorini in piccole sedi espositive, protagonista per le prossime tre settimane, insieme a Laura Polverini, artista aretina, è “Asparino”, già mafioso, poi collaboratore di giustizia e ora pittore. Gaspare Mutolo, storico pentito palermitano detto “Asparino”, oggi è un uomo libero, e sebbene sotto il Servizio Sociale di Protezione, vive dipingendo quadri, sottolineando come grande parte dei soldi che dalla loro vendita possono essere ricavati, sono donati in beneficenza.
Nato a Palermo il 5 febbraio del 1940 e inizialmente meccanico, ora ha ottantuno anni e come ha dichiarato in una recente intervista, in occasione di una mostra organizzata a Giulianova e voluta da Gabriellino Palestini, noto come uomo Plasmon della pubblicità eamico di Mutolo dagli anni Ottanta, la sua vita ormai è fatta di fede e di arte. Dalla mafia all’arte, in cui il passato si fonde con il presente, mettendo a nudo l’animo del pittore, ovvero dell’uomo che è oggi, detto anche il Picasso della mafia, nonché interprete di uno stile semplice, “genuino” prossimo a quello naif.
Ogni lavoro diviene significativo per la storia che in ogni quadro “incontra l’anima” dell’autore, con tutte le sue grandi contraddizioni, il suo vissuto e la grande voglia di dichiarare di essere cambiato.
L’amore per la pittura è scaturito nei lunghi periodi di detenzione in carcere ed è cresciuto contemporaneamente al suo cambiamento di vita, giungendo come è noto, al pentimento e quindi poi alla scelta di raccontare attraverso i quadri e, quindi in modo spontaneo e istintivo con il pennello, la propria trasformazione. La storia di Mutolo è stata oggetto anche di un documentario cinematografico intitolato Belluscone.
Una storia siciliana di Franco Maresco, girato nel 2014. Il pentimento è avvenuto dopo l’interrogatorio che Borsellino, a seguito della strage di Capaci, gli ha fatto per l’ultima volta due giorni prima di quella di via D’Amelio nel 1991. Oggi è un altro uomo, dice egli stesso, e i suoi dipinti riflettono il suo mondo interiore, dimenticando di esistere davanti alla tela, come egli stesso ha dichiarato. I primi dipinti erano legati alla memoria dei luoghi a lui cari, che non potendo rivedere, immaginava trasferendo nelle tele le suggestioni del ricordo di un mondo all’epoca visto attraverso le grate del carcere.
La pittura, dichiara, è l’unico amico che non solo non lo ha mai tradito, ma anche l’unico con cui trascorrerebbe l’intera giornata. I suoi soggetti sono i tetti rossi di Mondello, campi di papaveri a contrasto con l’azzurro “che circonda il Monte Pellegrino” e i colori della Sicilia, con i suoi splendidi paesaggi.
Non mancano figure emblematiche, come quella della piovra che attanaglia Palermo. Un dipinto con questo soggetto è esposto anche ad Arezzo, insieme ad altro quattro Cinque sono i dipinti esposti nella vetrina aretina. Tra questi anche una marina. Le riflessioni che questa storia ci costringe a fare partono dalla consapevolezza, che la creatività riesce a tirare fuori il meglio di noi.