REDAZIONE AREZZO

Israeliani, scatta la rete di aiuti. Arbib: "Accolte nella mia casa famiglie bloccate dalla guerra". Le storie da Monte San Savino

Lui vive a Jaffa ma ha un’abitazione nel paese della Valdichiana. "Dovevo ripartire sabato". Coi figli ha stabilito un tam tam tra connazionali in vacanza in Italia. "Accolti con calore".

Israeliani, scatta la rete di aiuti. Arbib: "Accolte nella mia casa famiglie bloccate dalla guerra". Le storie da Monte San Savino

Jack Arbib vive in Israele, a Jaffa. Due dei suoi quattro figli, sono membri di un kibbutz al confine con il Libano, oggi evacuato perchè a rischio attacco hezbollah. Si sono ricongiunti al padre e alla madre, nella casa di Monte San Savino che la famiglia Arbib abita almeno quattro volte all’anno. Dopo il lungo stop della pandemia, Arbib insieme alla moglie ha potuto tornare nella cittadina della Valdichiana solo a inizio mese. "Non ci aspettavamo di trovarci qui quando è scoppiata la guerra. Avevamo già un biglietto aereo di rientro in Israele per sabato, ma è tutto bloccato e noi dobbiamo restare qui".

Arbib, i suoi figli sono con lei?

"Due di loro ci hanno raggiunto da città dell’Europa dove erano in vacanza. Sono riusciti ad arrivare a Monte San Savino dopo una serie di tappe rocambolesche. Una figlia vive a New York e l’altro si trova in Israele, è volontario per gli aiuti agli sfollati e ai soldati. Ma con il passaparola abbiamo rintracciato altre famiglie in viaggio in Italia che si sono trovate nell’impossibilità di tornare in Israele. Così, li abbiamo contattati, ci hanno raggiunto e li abbiamo accolti aiutandoli a trovare una sistemazione temporanea".

Quante sono?

"Sono quattro famiglie e ci sono molti bambini. Due vivono con noi nella nostra casa, le altre hanno trovato ospitalità in abitazioni messe a disposizione da amici savinesi. È scattata una bella rete di solidarietà con la popolazione locale e con le autorità. Stanno tutti bene e lo stiamo facendo con la collaborazione e la simpatia dei cittadini di Monte San Savino. Ospiteremo queste famiglie fino a che ce ne sarà bisogno".

Come vivete il dramma di Israele da fuori?

"Purtroppo siamo attaccati alle notizie in ogni canale, dalla tv a internet e attraverso le telefonate con le persone che conosciamo e che si trovano in Israele".

Cosa le raccontano?

"La situazione è molto dolorosa e penso di difficile soluzione. È un dramma incredibile e quando dico dramma, mi riferisco a tutte le vittime, israeliane e palestinesi. Non è questo il momento di tirare conclusioni, ma più avanti saranno fatte, perchè sono stati compiuti, da tutti, errori terribili e assunti comportamenti assolutamente spaventosi".

Intravede una via d’uscita?

"Non so quando si potrà tornare a una normalità nel nostro Paese ma stiamo aspettando grandi cambiamenti, nel bene e nel male. Speriamo che siano positivi, per tutti".

Cosa pensa delle manifestazioni "Palestina libera", anche in Italia? E sabato pure ad Arezzo?

"Penso che questa storia che ha radici antiche e profonde, che riguarda l’esistenza di due popoli, non è una partita di calcio. Non siamo allo stadio: qui non si tratta di fare il tifo per l’una o l’altra parte. Posso dire che i comportamenti e le empatie, devono essere diverse, vanno riviste. E vale per entrambe le parti. La rivendicazione dei palestinesi è un tema che viene discusso in Israele, anche con manifestazioni ma lo scoppio della guerra ha ghiacciato questo dibattito".

Qual è il suo messaggio a chi va in piazza a senso unico?

"Vorrei dire agli amici che manifestano una simpatia, forse anche eccessiva, di misurare i comportamenti in questo momento così delicato per tutti. Perchè tutto questo, non aiuta. Il fatto è che ci sono meccanismi pericolosi che comandano la nostra vita".

A cosa si riferisce?

"A chi interessano questi conflitti? Vedo questi due popoli come vittime di un sistema mondiale che alimenta il conflitto e dal conflitto trae profitto".

Ma Israele è isolato?

"Secondo me non lo è. Ha una rete di alleanze, ma è necessario lavorare tutti insieme. Il popolo della Palestina e quello israeliano devono collaborare per stare in pace in Terra Santa".

Arbib, cosa spera?

"Conto molto sui bambini. Spero che i nostri bambini, quelli di tutte le famiglie, israeliane e palestinesi, possano un giorno giocare insieme".

Lei lavora sulla poesia come strumento di pace. Perchè?

"Mi sono impegnato a lungo lavorando sulla coesistenza attraverso la poesia. Ho tradotto molte pubblicazioni e promosso numerose iniziative culturali. La poesia è uno dei mezzi di comunicazione più immediati e universali".

Lucia Bigozzi