
Angori
Riordinando una vecchia scrivania del mio babo, Gian Mario Angori a lungo primario all’ospedale di Castiglion Fiorentino, ho trovato un bellissimo documento scritto dal suo amico e collega Angiolo Brogi, che descrive vicende accadute nel vecchio Ospedale di Castiglion Fiorentino nel 1941: la visita del re. Angiolo Brogi è stato un ottimo medico, ha lavorato a Castiglion Fiorentino fino al 1985, come assistente volontario in ospedale e come medico di famiglia. Di poco più anziano del mio babbo, è stato suo grande amico e, anche da pensionati si sono frequentati finché la salute lo ha consentito. Grande clinico, era un uomo tutto d’un pezzo ma in compagnia di una simpatia unica. Ecco il racconto di quella giornata storica.
"Se ben ricordo agli inizi del 1941 l’Ospedale S. Maria fu dichiarato Ospedale militare a tutti gli effetti. Al primo piano fu allestito il reparto per i civili. Primario chirurgo e direttore era Giuseppe Berti. Con i famosi ’Treni Ospedale’ arrivavano i soldati che avevano combattuto in Grecia: traumatizzati con fratture dovevamo rimuovere il gesso, perché vi si erano annidati i pidocchi, un tormento per chi non si poteva grattare. Per la maggior parte erano affetti da congelamento alle gambe di secondo e terzo grado; quest’ultimo esitava in necrosi dei tessuti e quindi in cancrena con conseguenti mutilazioni. Era una tragedia quando l’interessato se ne accorgeva. Erano quasi tutti giovanissimi. L’interessamento dei castiglionesi non si fece attendere: molte signore aiutavano in infermeria o in guardaroba; una delle più attive fu Agnese Cesaroni; la ’Pepa’ fu utilissima per la preparazione del materiale da medicazione e della biancheria per letti; altre volontarie preparavano dolci o assistevano i soldati scrivendo lettere per loro. Devo ricordare la magnanimità di Margherita Brunori: quanta crema e cose buone preparava per i feriti! Il vitto preparato dalle Suore di San Vincenzo era buonissimo.
Io, studente in medicina, mi offrii con piacere, Brunori mi mise subito al lavoro: mi insegnò a medicare. Era infaticabile. Stavamo in ospedale dalle sette alle 23, salvo l‘intervallo pranzo e cena. Partecipavo attivamente alla sala operatoria con il professor Berti prima, poi con un chirurgo militare e infine con il professor Cocci (primario chirurgo dell’ospedale di Arezzo) per interventi sui civili e la sistemazione dei monconi degli amputati.
Il chirurgo era Berti; i medici erano, oltre a Brunori, Serafino Crivelli e Giuseppe Raffaelli. Berti operava anche alla Casa di cura S. Giuseppe; io tutte le mattine rimanevo solo da una certa ora, dopo che con Brunori avevamo fatto buona parte delle medicazioni. Ero solo in ospedale e toccò a me la sorpresa e l’onore di ricevere S. M. il Re d’Italia Vittorio Emanuele III.
La mattina del 10 febbraio 1941, era sabato, trafelato entrò in infermeria Cecco (Francesco) Aretini, l’economo, mi disse che nella prima corsia c’era il Re che parlava con i ricoverati (insieme all’Aiutante di Campo si era fatto accompagnare dal portiere nel reparto). Lì per lì mi sembrò una cosa impossibile, non volevo crederci, ma l’Aretini insistette e dovetti arrendermi. Mentre stavo per entrare nella corsia da una porticina mi fermò il generale Puntoni sulla soglia: “È lei il medico?“; risposi di sì per non far notare che in ospedale non c’era un sanitario; “Si presenti a Sua Maestà’ aggiunse. Il Re era giunto al quinto letto; mi presentai e lui, con voce tremolante mi disse queste precise parole: sono venuto senza avvertire perchè non volevo sturbare nessuno; perciò se lei ha da fare vada pure” (dava del Lei non del Voi come era stato imposto dal Regime Fascista). “Maestà sono ai vostri ordini” risposi, non senza emozione, anche se fu tanto semplice e mi mise a mio agio; non era cosa da tutti, specie allora, parlare con un Re.
Quasi tutti i ricoverati erano congelati agli arti inferiori, per cui il Re mi disse : “Io sono ignorante: nella guerra passata il congelamento veniva curato con olio di fegato di merluzzo; oggi?”. Risposi che non c’era niente di nuovo e che si usavano impacchi con alcool denaturato per delimitare il tessuto necrotico e favorire la formazione di tessuto nuovo; poi si procedeva alla sistemazione del moncone; questo glielo dissi sottovoce per non farmi sentire dagli interessati, non tutti si rendevano conto del proprio stato. Il Re domandava notizie ai feriti e firmava autografi. Quando fummo al finestrone si fermò a guardare; l’imposta aveva un pannello di legno alto e il Re lo sfiorava con il naso (Vittorio Emanuele III era molto basso; per non umiliarlo erano considerati abili al militare anche coloro che avevano la sua altezza). Proposi di aprire l’imposta ma non volle e mi domandò che valle era; gli risposi che si trattava della Valdichiana e che lui era già stato a Castiglioni nel 1911 per inaugurare una Mostra Agricola a Villa Fontina; “Ah sì?” disse, “Certo sono passati tanti anni e non potete ricordarvi” aggiunsi. Nel mezzanino arrivò il professor Berti, lo avevo fatto avvisare. Si presentò al Re e gli ricordò che già durante l’altra guerra ebbe l’onore di un sua visita all’ospedale da Campo che dirigeva.
Berti ci raccontò che in quell‘occasione fece una tremenda gaffe. Il professore era alto, gli capitava di battere la testa contro l’architrave della porta del capannone che ospitava l’ospedale da Campo: si premurò allora di dire al Re: “Maestà, attenta alla testa”; dice che il Re si voltò verso di lui e gli disse “ci guardi lei piuttosto”. “Avrei voluto sprofondare” concluse il professore.
Non ho l’autografo del Re, l’Aiutante di Campo mi pregò di dire ai feriti di non chiederne più perché era stanco: non ebbi il coraggio di chiederlo per me. Non ci sono fotografie che io sappia, fu tutto imprevisto. Finita la visita ci affacciammo a quel balcone con le due scalette laterali su Piazza S. Agostino, c’era molta gente del paese, ma nessuna autorità di Arezzo, non ci fu modo di informarla.
Fui presente anche alla visita del Principe di Piemonte (poi Re Umberto II) in forma ufficiale"