Il partigiano fuggito e il mezzo in fiamme: 14 morti per rappresaglia

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La strage nazista della Fontaccia, a cavallo tra i territori di Arezzo e Castiglion Fibocchi è una delle tante che hanno martoriato la provincia di Arezzo nel 1944. Il 10 luglio i tedeschi catturano un capo partigiano ma se lo lasciano subito sfuggire. La reazione consiste nell’immediata convocazione del commissario prefettizio del comune, Luigi Dei e nella richiesta di 10 nomi di ostaggi da fucilare nel caso il prigioniero non fosse stato ritrovato. L’opposizione di Dei alla richiesta è ferma. Verso le 19, l’esplosione di un automezzo tedesco vicino Castiglion Fibocchi, attentato imputabile a un gruppo di partigiani inglesi, accende la rappresaglia.

A mezzanotte del 10 luglio alcuni soldati tedeschi penetrano nelle cascine delle vicinanze, arrestandone gli undici abitanti e conducendoli nel luogo in cui la camionetta stava ancora bruciando, in località La Fontaccia. Intorno alle 2, altri cinque uomini sono prelevati da un’abitazione del comune di Arezzo: tra i circa venti ostaggi così raccolti sono selezionati soltanto i tredici uomini, mentre donne e bambini sono portati via sotto scorta. Accusati di essere partigiani, i due più giovani sono impiccati ad alberi di olivo, altri dieci sono allineati sull’altro lato della strada, davanti all’automezzo in fiamme e massacrati da tre raffiche di mitragliatrice. Soltanto uno dei prigionieri scampa alla morte dimostrando di lavorare per i tedeschi. Un’anziana e il nipote sbucano nel momento dell’esecuzione da una casa vicina, iniziano a gridare e sono raggiunti da colpi di pistola.

L’unità responsabile viene individuata come la quindicesima Panzer Grenadier Division ma l’inchiesta britannica non contiene elementi sufficienti ad avviare un procedimento. Nel 1967 la procura tedesca di Bonn apre un’indagine sul maggiore Ludwig Wiegand, ritenuto responsabile di alcune stragi aretine. L’inchiesta venne archiviata il 16 aprile 1973.