
Sergio
Castrucci
Contrariamente a quanto fa pensare il termine, non è un personaggio che fa visite amichevoli o di circostanza ma un funzionario della Chiesa inviato nelle diocesi con l’incarico di indagare se vi si osservino disposizioni e divieti prescritti dall’autorità ecclesiastica. Si tratta in genere di personaggi dotati, per lignaggio o per caratteristiche personali, di grande prestigio e autorità, temuti e riveriti da chi li riceve.
Dopo il Concilio di Trento, diversi di questi “visitatori” furono inviati nella varie diocesi per verificare l’applicazione delle disposizioni conciliari. Uno di questi, Francesco Bossio, patrizio milanese stretto collaboratore del cardinale Carlo Borromeo, uno dei protagonisti della Controriforma, giunse in Toscana dove, a Volterra, scoprì che nello Spedale degli Esposti era stato introdotto l’uso delle capre per allattare i bambini; parendogli così che fosse “degradata l’umanità” fece un decreto perché le capre fossero espulse e non più ammesse nell’ospedale.
Non era certo questa un’ubbia del Bossio ma esisteva una vera e propria proibizione della Chiesa per l’allattamento con latte animale, ritenuto cosa immonda e orribile. Oggi sappiamo che il latte di capra è, dopo quello di asina, peraltro difficile da trovare, quello più simile al latte materno di cui è un prezioso surrogato quando questo venga a mancare. Stentiamo quindi a credere all’esistenza di un tale divieto eppure, anche qui nell’Aretino, nell’archivio degli Spedali Riuniti non mancano le relazioni che vari parroci inviarono al Rettore per denunciare non l’utilizzo di quel latte negli ospedali, ove era proibito, ma che le nutrici quando allattavano a casa loro i piccoli “spedalini” facevano spesso ricorso al latte di capra. Per non dire di quel caso “tragico” di una balia infedele che ebbe l’ardire di allattare un neonato addirittura col latte di una scrofa: secondo il parroco inorridito ci volle molto tempo e molto impegno per “purificarlo”.
Ma perché, ci si chiederà, tutta questa avversione a dare ai piccoli il latte di animali? E sì che la letteratura antica e la mitologia sono piene di questi allattamenti impuri: Telefo, figlio di Ercole e di Auge, fu allattato da una cerva, Egisto, figlio di Tieste e di Pelopia, fu nutrito con latte di capra che il piccolo poppò dall’animale stesso, Pelia e Ippotoo, un paio dei numerosi figli di Nettuno (un vero “tombeur de femmes”) succhiarono il latte di una cavalla. Altri ve ne furono ma il caso più famoso è certamente quello di Romolo e Remo allattati da una lupa.
Narra Plutarco come i due gemelli, cresciuti, fossero entrambi coraggiosi e decisi e come, davanti al pericolo, mostrassero animo e un’audacia intrepida; amavano gli esercizi fisici, le cacce, le corse, mettere in fuga i predoni. Per questo, dice ancora Plutarco, erano famosi; sembrava che dalla lupa avessero preso oltreché il latte anche la caratteristiche comportamentali.
Un caso analogo è quello di Paride, figlio del re Priamo e di Ecuba. Questa, mentre era incinta, sognò che il figlio che aveva in seno incendiava Troia. Priamo, interpretando quel sogno, pensò che il futuro figlio, Paride, sarebbe stato per i troiani causa di morte e di rovina e, appena nato, lo fece portare dal pastore Agelao sul monte Ida per farlo morire ma qui un’orsa lo allattò e lo fece sopravvivere. Un giorno Agelao li vide e decise di riprendere il piccolo e di adottarlo.
Paride crebbe sano e forte e, ancora ragazzo, mise in fuga una banda di predatori di bestiame recuperando le bestie rubate; quando gli vennero affidate delle mandrie, il suo coraggio nel difenderle dalle belve feroci gli fece guadagnare il soprannome di Alessandro, da un termine greco che significa difendere, soccorrere. Anche in questo caso pareva che dell’orsa insieme al latte, Paride avesse succhiato anche la forza, il coraggio e il senso di protezione.
Simile convinzione aveva la Didone dell’Eneide quando, abbandonata dal suo Enea “spergiuro” insensibile e crudele, disperata gli urlava: ”non hai per madre una dea ... ti ha generato il Caucaso puntuto di rocce durissime, e tigri d’Ircania ti hanno porto le poppe”. Secondo lei Enea era dunque stato allattato da una tigre, da cui aveva ricevuto anche la feroce crudeltà.
Il motivo per cui la Chiesa ha avversato fino ai tempi moderni l’allattamento con latte di animali trae insomma origine proprio da questa falsa credenza che, col latte, si trasferiscano nel piccolo uomo anche le caratteristiche tipiche dell’animale che quel latte ha prodotto: una sorta di ibridazione contro natura, una forma di contagio degradante e blasfema.