ATTILIO
Cronaca

"I miei figli e familiari sono tutti già al sicuro Io, ultraottantenne, resto ancora in attesa"

Il paradosso di un grande studioso di letteratura angloamericana che racconta la sua esperienza paradossale. Ma non sarà come per la scrittrice Muriel Spark: la telefonata per la dose sarà un annuncio di speranza e non un tetro "Memento mori"

Io, ultraottantenne, resto ancora in attesa

Attilio

Brilli

Che l’Italia sia il paese dei paradossi è un dato di fatto e che la Toscana aspiri da sempre al primato, lo è ancora di più. Ne è un esempio conclamato l’attuale campagna vaccinale accompagnata da tanto roboanti, quanto vacui ed ipocriti slogan del tipo "proteggiamo i nostri vecchi", "mettiamo al sicuro i nostri ultraottantenni". Al momento sarebbe molto più corretto dire "mettiamoli in cantina" come le bottiglie del vino da collezione, in attesa di stapparle, le bottiglie, per qualche fausto evento, prima che il loro contenuto si sia ridotto in polvere.

Il paradosso si ripropone nelle famiglie nelle quali può capitare, come è successo a me, che i figli, le nuore ed i generi siano stati debitamente vaccinati, mentre il loro fatidico ultraottantenne, la cassaforte della memoria, boccheggia in attesa di una telefonata di convocazione dal medico di famiglia. A dire il vero, per qualche tempo questa storia della telefonata mi ha messo in subbuglio, perché mi ha ricordato un romanzo di Murial Spark, anglo-chianina che viveva a Oliveto, in cui si narra di una casa di riposo britannica nella quale gli ospiti sentivano spesso suonare il telefono e quando alzavano la cornetta una voce annunziava loro: "Memento mori".

Poi pensando che siamo in Toscana, la regione dei paradossi, mi son reso conto che quella telefonata, quando mai arriverà, avrà un significato diametralmente opposto e sarà un annuncio di possibile vita: "C’è un vaccino per te!". Questo impantanamento delle vaccinazioni nei confronti degli "over Ottanta" – usiamo un anglicismo, tanto per cambiare – deriva dall’avere addossato ai medici di famiglia una responsabilità ed un onere eccessivi. Nei loro ambulatori succede quello che succede negli ospedali, vale a dire che la complessa opera di vaccinazione, compreso il problema del mantenimento della catena del freddo e dell’approvvigionamento, si sovrappone alla quotidiana, ordinaria attività diagnostica e curativa.

Che io sappia, solo la Toscana ha adottato questo sistema vaccinale, ma c’è da chiedersi quanto, chi di dovere, abbia riflettuto sulla sua concreta attuabilità e sulla complessità della sua messa in opera. Inoltre c’è da domandarsi se la stessa Azienda Sanitaria stia dando una mano ai singoli studi medici, compresi i più piccoli, sopperendo ai loro eventuali bisogni. E inoltre, nel complesso, sta mettendo in atto un’opera di monitoraggio sull’attuazione di questa specifica tipologia di vaccinazione?

Considerando inoltre la grave situazione in cui versa la città che sembra lambita da striature sempre più rosse, le autorità politico-amministrative e quelle sanitarie hanno sollecitato, come succede da altre parti, un incremento dei due generi di vaccini per le età più avanzate? Naturalmente spero che queste mie domande siano puramente retoriche e che quanto auspicato sia stato fatto, in ogni caso ricorderei alle autorità competenti, agli studi medici e ai singoli operatori di non trasgredire al motto evangelico che hanno adottato (al quale oso apportare una leggera integrazione): "Beati gli ultimi, gli ultraottantenni, che saranno i primi"!

Non c’è dubbio che la similitudine più appropriata per questa situazione sia la corsa. Corsa degli stati alla ricerca di congrue quantità di vaccini, corsa delle singole regioni, corsa dei comuni e infine corsa dei singoli. Come succede in ogni corsa ci sono gli imprevisti, le negligenze, le furbizie, le lentezze come quelle Agenzie del Farmaco in Europa e in Italia nell’approvazione di nuovi prodotti. Una cosa è certa, se questa corsa universale fosse il Giro d’Italia, come over Ottanta mi sentirei la maglia nera.