ERIKA PONTINI
Cronaca

"I due amori di mio padre: la moglie e l’oro"

Parla Maria Cristina Squarcialupi, figlia del patron di Chimet e Unoaerre, e racconta l’aspro carattere di un capitano di industria di altri tempi

di Erika Pontini

La genesi dell’impero Unoaerre-Chimet è anche la storia di un amore. E di un capitano vecchio stampo, Sergio Squarcialupi, che scelse Arezzo per sposare Annamaria, la donna divenuta sua moglie e poi attraversare sessant’anni di impresa e di vita con il coraggio necessario a vincere e la ‘visione’ indispensabile a crescere. Non esitando però ad accentrare tutto su di sé come erano soliti gli industriali del tempo. E, alla fine, lasciando ai suoi figli quelle che oggi Maria Cristina, la bambina che sognava di fare il medico, chiama “i nostri gioielli”.

Industria e amore dunque…

"Mio padre si è laureato in chimica industriale perché ai quei tempi si diceva che con la chimica si trovava lavoro: erano i tempi della Montedison".

Eni, Montedison, Gardini…

"Aveva 25 anni, avrebbe voluto seguire quella strada ma voleva anche sposare mia madre e il suo futuro suocero gli disse di fare domanda alla Unoaerre".

Ed è andata così?

"Sì, si sono sposati e sono rimasti una vita insieme".

E siete nati voi, oggi si direbbe figli di papà…

"Macchè, non ha mai fatto sconti a me e a mio fratello Andrea. Con noi è stato un padre molto esigente e le cose ce le siamo sudate. Mio fratello è stato mandato dopo la laurea all’ufficio commerciale della Chimet a Vicenza a fare un pò di gavetta, ‘a farsi le ossa’, come ripeteva mio padre".

E con lei come è andata?

"Io volevo fare il medico e mi ripeteva ‘è pieno di dottori e non servono a niente’. Mi sono laureata in chimica, ma non andai subito in azienda, alla Chimet. Ho fatto un dottorato di ricerca in chimica applicata al restauro dei beni culturali e poi sono andata alla Lasi, azienda di famiglia che si occupa di analisi chimiche e ambientali".

Oggi è presidente di Unoaerre, azienda storica di Arezzo…

"Sì. E’ una lunga storia".

Quale?

"Mio padre nel frattempo si è ammalato e ha iniziato a delegare, cosa mai fatta nella sua vita. Era il 2016 e mi chiese di occuparmi della Unoaerre".

E’ come è andata?

"Pilotare una azienda del calibro di Unoaerre fa tremare i polsi. Ma mi sono rimboccata le maniche. Ed oggi sono qui".

Ce l’ha fatta...

"Sono la presidente di Unoaerre. Con l’aiuto prezioso di Luca Benvenuti (è anche Ad di Chimet, ndr) abbiamo messo su una squadra straordinaria".

Ma oggi come la ripensa a quella stagione?

"Non è stato semplice ma la il rigore ed il rispetto del lavoro che mi ha trasmesso mio padre sono la mia forza".

Nessun limite?

"Trovare dei limiti a un uomo come mio padre non è semplice. E’ un uomo che ha dedicato la sua vita al lavoro, al lavoro duro. E’ sempre stato un solista, ci ha insegnato poco, quello che siamo lo abbiamo imparato sul campo. Non so se questo sia un suo limite oppure se sia stato il suo più grande insegnamento".

E ancora?

"È una persona schietta e semplice: o lo ami o lo odi. Il suo piatto preferito è pasta al pomodoro. Ma la pretende ottima. Questo lo descrive. Dice sempre quello che pensa, anche se il suo parere può essere scomodo. Ma credo che chi gli vuole bene apprezzi questi lati ruvidi del carattere. Quando scendo in fabbrica non c’è un lavoratore che non mi chieda di lui".

Ma gli scontri di gioventù sono acqua passata

"Un babbo così è ingombrate. Anche io ho il mio carattere: eravamo destinati a discutere. Ma anche a ricucire".

Quindi suo padre inizia come dipendente di Unoaerre e ne diventa proprietario

"Sì, lavorava in Unoaerre e si facevano i primi saggi chimici per recuperare oro dagli scarti".

Il salto a diventare socio di Chimet è breve…

"Negli anni ’70, con Leopoldo Gori e Carlo Zucchi, i fondatori di Unoaerre, decidono di fare il processo di recupero per terzi. Nasce la Chimet e i metalli - oro e argento - vengono recuperati dagli scarti delle aziende orafe. In quegli anni Chimet inizia a collaborare con il Dipartimento di chimica dell’Università di Pisa e si studiano tecniche innovative per recuperare metalli preziosi anche da altri materiali, come ad esempio scarti dell’industria elettronica e, più recentemente, dalle marmitte catalitiche delle nostre auto".

E ci riescono bene…

"Oggi recuperiamo metalli preziosi da moltissimi scarti di varia natura. Chimet non tratta solo scarti provenienti dal distretto orafo aretino o italiano. La nostra è una azienda che ha clienti in tutte le parti del mondo".

L’inceneritore contestato...

"Negli anni ’80 cambiò la normativa sui rifiuti e l’Asl di Arezzo chiese a Chimet di dotarsi di un inceneritore, da dedicare alla termodistruzione di rifiuti ospedalieri. La nostra azienda era l’unica a possedere i codici necessari ed aveva già i forni. Adesso Chimet distrugge in sicurezza anche i rifiuti del Covid".

Perché investire sul recupero, all’epoca non si parlava di economia circolare?

"L’Italia è povera di materie prime e quindi ci siamo sempre dovuti inventare qualcosa per evitare di dover dipendere da altri per l’approvvigionamento. Quello che sta succedendo in Ucraina oggi ci insegna che essere indipendenti per l’approvvigionamento dei materiali per la nostra filiera è una forza. Chimet ha trasformato un punto di debolezza del nostro Paese. Oggi è un vantaggio: fare economia circolare, sfruttando gli scarti".

L’inizio?

"Chimet viene fondata da mio padre insieme a Gori, Zucchi e a Morandi, l’altro socio fondatore che era responsabile della parte amministrativa. Il babbo si fidava ciecamente del ragionier Morandi: era l’uomo dei conti".

E la Unoaerre?

"Mio padre esce da dipendente ma, tra alti e bassi, lo richiamano negli anni ’90 per fare l’amministratore delegato. Poi Unoaerre viene venduta a un fondo".

La Unoaerre viene venduta al fondo Deutsche Morgan ma poi ripresa da Zucchi…

"In effetti viene rilevata da Zucchi ma sono anni difficili per l’oreficeria italiana fino alla crisi mondiale del 2008. Nel 2010 finisce in concordato preventivo e mio padre viene richiamato alla guida dell’azienda in crisi. Tutti ad Arezzo gli chiedono di rilevare l’azienda simbolo".

Lo fa nel 2012

"Noi eravamo contrari".

Perché?

"Mio padre aveva affrontato un processo penale pesante. Era accusato di disastro ambientale".

Però la Unoaerre l’ha comprata…

"Lui è così. Ha l’impresa nel sangue. Chiunque alla sua età avrebbe mandato tutto a gambe all’aria. Chiunque avrebbe venduto Chimet per godersi la vita e la vecchiaia. Invece, ha tenuto la Chimet e comprato la Unoaerre".

Ha avuto ragione…

"Ci disse ‘Sono convinto delle cose che ho fatto e di quelle che voglio fare’. Ha mantenuto la Chimet con forza. Ha vinto la sfida perché nel frattempo Unoaerre è tornata a brillare. In 3-4 anni ha recuperato tutto".

Se lo ricorda bene il periodo dell’inchiesta sulla Chimet?

"Ero incinta quando mia madre mi chiamò ‘Qui sta succedendo l’inverosimile, ci sono degli elicotteri che volano sulla Chimet".

La vicenda giudiziaria è finita

"Sì nel 2016, assolto. Ma si può immaginare quanto mio padre abbia sofferto: è stato trattato come il peggiore delinquente".

E adesso?

"Le aziende sono due gioielli. La Chimet è apprezzata in tutto il mondo. Siamo un nano che è diventato gigante. Della Unoaerre, in effetti, mi sono innamorata".

Il futuro sarà dei vostri figli?

"Mio fratello ne ha quattro e io due. Mio padre ci ha influenzato: voleva che lavorassimo nelle sue aziende. Ai miei figli voglio lasciare massima libertà. Facciano quello che si sentono. Ma se verranno qui ne sarò felice".