
"Ho rivisto l’uomo salvato dal crollo". Sara, ritorno in Turchia dopo mesi. Pronta per il cantiere della morte
Ha deciso di tornare nel luogo dove ha incrociato morte e vita. Nel luogo che "ha cambiato la mia vita": la frase resta sospesa, il tempo necessario a superare l’emozione del ricordo. Sara Montemerani è tornata in Turchia ad un anno dal terremoto che ha squassato una intera regione e spezzato milioni di esistenze. Lì, in quell’inferno di macerie, lei ha salvato due persone insieme al coordinatore aretino degli infermieri Samuele Pacchi e i colleghi dell’unità speciale partita dalla Toscana subito dopo la devastazione.
Oggi è pronta a ripartire, per un’altra missione, questa volta tra le macerie del cantiere di Firenze, dove sono morte quattro persone e si continua a cercare l’ultimo operaio. Sara si divide tra 118 e pronto soccorso dell’ospedale San Donato e il team dell’elisoccorso, di stanza a Grosseto. "Mi sono specializzata in medicina di emergenza e urgenza e ho partecipato ai corsi di formazione per le squadre che intervengono nei grandi scenari di crisi". Fa parte del team Usar e con i vigili del fuoco aretini ha già lavorato in Turchia. "Il Cross di Pistoia ha attivato la squadra dei sanitari per il crollo a Firenze e sono in attesa della chiamata", spiega.
Porta con sè l’esperienza del terremoto, sul piano professionale per lei è stata la prima missione internazionale. Ma ciò che conserva tra i ricordi più cari, è il contatto con le persone rimaste senza niente e con gli operatori turchi con i quali ha condiviso i rari momenti di riposo al campo base. "È stata una settimana che non dimenticherò, si è formato un legame con i vigili del fuoco e gli altri sanitari che non si è mai interrotto. Un’esperienza che mi ha segnato, al punto che ho deciso di tornare in Turchia". E così è stato.
"A capodanno sono andata a Istanbul e in aeroporto ho incontrato un volontario con il quale ho condiviso la settimana nella cittadina devastata dal sisma, proprio dove la nostra squadra era stata assegnata per le operazioni di soccorso". Un incontro "carico di emozione perchè con il ragazzo che oggi lavora in aeroporto, abbiamo ripercorso quei giorni e rievocato le fasi del nostro intervento". Ma c’è qualcosa di più prezioso, per Sara, che quell’incontro ha generato. "Il ragazzo è rimasto in contatto con una delle due persone che abbiamo salvato. E insieme abbiamo fatto una videochiamata". Un attimo, e sul display del telefonino è comparto il volto di quell’uomo: "Ha quarant’anni e non riusciva a parlare per la commozione, ha pianto. Lui ha perso gran parte dei familiari e ricordando il dramma, mi ha detto che se poteva finire l’anno da vivo era per merito nostro".
Pausa, poi Sara riprende fiato e racconto: "Quei volti non li dimenticherò mai, ho visto disperazione e speranza, ho incontrato persone che ci hanno accolto e hanno condiviso con noi ciò che erano riusciti a recuperare tra le macerie delle loro abitazioni. Penso che in quelle condizioni abbiamo dato il massimo e questa testimonianza per me ha rappresentato un dono che vale per tutto l’anno".
Un dono carico di significato per una missione che si aggiunge al lavoro quotidiano in pronto soccorso o in elicottero a combattere coi drammi che lasciano il segno. Anche qui, come in Turchia, l’obiettivo è sempre lo stesso: salvare vite.
Lucia Bigozzi