Federico D'Ascoli
Cronaca

"Ho perso la testa": botte alla figlia perché non voleva mangiare, il padre chiede scusa

L'uomo è agl arresti domiciliari dai genitori e si dice pentito. "Era stato lui stesso a chiamare i carabinieri" assicurano i suoi avvocati

Carabinieri (Foto archivio)

Arezzo, 29 settembre 2019 - Un uomo distrutto, e pentito, per l’attacco violento nei confronti della figlia di 14 anni. È il titolare di un esercizio in Valtiberina e le sue generalità sono segrete perché di mezzo c’è una minorenne che denuncia il padre. Ha 49 anni e oggi è agli arresti domiciliari in casa dei genitori, con annesso braccialetto elettronico. I suoi avvocati, Cristina Parnetti e Tommaso Ceccarini, raccontano il rimorso del padre manesco, del suo essersi scusato fin da subito, con tutti, del suo gesto.

Sul referto del pronto soccorso di Sansepolcro alla giovane sono stati assegnati cinque giorni di prognosi per i segni lasciati sul volto da uno schiaffo. «Vorremmo subito precisare che i carabinieri sono stati chiamati a casa dal nostro assistito – spiegano gli avvocati Parnetti e Ceccarini – per sedare la lite nata con il figlio di 20 anni di primo letto della moglie. Importante spiegare che il padre è incensurato, i precedenti nascono dalle dichiarazioni della moglie e del figliastro.

Insieme hanno indicato ai militari quella di domenica 15 settembre all’ora di pranzo come l’ultima di una serie di violenze consumate nel tempo che le vittime non avevano mai denunciato. A far scattare la rabbia dell’uomo il fatto che la figlia non volesse mangiare, situazione che preoccupa anche la madre. A difesa della sorella si è messo il fratello ventenne, con cui non scorre buon sangue.

Sono volate altre botte e poi sono arrivati gli uomini dell’Arma che in serata hanno disposto l’arresto. All’udienza di convalida, nei giorni successivi, il pubblico ministero Andrea Claudiani aveva chiesto la custodia in carcere mentre il giudice dell’udienza preliminare Piergiorgio Ponticelli ha concesso gli arresti domiciliari con il braccialetto che evita l’uscita dalle mura domestiche della casa dei genitori.

«L’imprenditore tiberino – prosegue l’avvocato Parnetti – non si è avvalso della facoltà di non rispondere ma si è subito scusato e si è detto pentito di ciò che aveva fatto. Tante persone che lo conoscono in paese si sono offerte di poter testimoniare quanto sia apprezzato, io stessa sono una sua cliente e lo conosco da anni come una brava persona».

Alla base dell’arresto c’è quella che viene definita la «quasi flagranza» attivata dal Codice Rosso, il nuovo percorso operativo introdotto dal decreto Sicurezza Bis per i maltrattamenti in famiglia. Che è scattato, sulla base di dichiarazioni drammatiche, aggiungendosi al reato di lesioni.

«L’attività del nostro assistito – sottolinea l’avvocato Ceccarini – è l’unico sostentamento della famiglia. Il rischio è quello che con il prolungarsi degli arresti domiciliari ci sia un pregiudizio anche per gli altri componenti della famiglia». Il prossimo appuntamento con la giustizia dovrebbe essere l’audizione, in forma protetta, della ragazzina, del fratello e della madre. Un altro capitolo di una storia drammatica e controversa.