Gli incubi del naufrago della Costa Concordia Bichi: "Urla e dolore che non dimenticherò"

Il parrucchiere ed ex rettore di Porta Crucifera ricorda la notte di dieci anni fa: "Ancora oggi, quando piove o c’è nebbia, affiorano i ricordi"

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di Federico D’Ascoli

Gli avevano appena servito i moscardini in guazzetto. Uno scossone immenso gli fece cadere piatto, bicchiere e posate.

La vita di Luca Bichi è cambiata per sempre in quell’istante, sul ponte ristorante della Costa Concordia alle 21.45 del 13 gennaio 2012. Dieci anni fa.

Bichi, sono passate 3653 giorni dalla tragedia del Giglio. C’è qualcosa che ancora si porta dentro del naufragio?

"Sono diventato più riflessivo: avevo un brutto carattere, ero irascibile. Ora non mi arrabbio più per le piccole cose di ogni giorno. Dopo il disastro ho passato un anno terribile, ho avuto bisogno del sostegno di un professionista. Ora il dolore della vita mi scivola addosso, mi sento meno coinvolto".

Lei era a bordo per girare un talent sui parrucchieri presentato da Francesca Rettondini. Cosa è successo subito dopo che la Concordia ha impattato sullo scoglio?

"I ricordi si accavallano, alle volte sfumano. A un certo punto si sono spente tutte le luci, dagli altoparlanti parlavano di un guasto all’impianto elettrico e ci invitavano a rimanere a sedere. Nel frattempo andavamo alla deriva e la nave dondolava da un fianco a un altro. A un certo punto è scoppiato il panico, siamo tutti scappati fuori, sul ponte".

Prima di approdare al Giglio ha visto in faccia il dolore di chi si era ferito gravemente e soprattutto di chi aveva appena perso una persona cara.

"Buona parte di quello che ho vissuto l’ho cancellato, dicono che io abbia aiutato tanta gente. Mi ricordo solo di quanto ho sgomitato per salire sulla scialuppa. Ci ho messo un anno a riprendermi, con un lungo percorso psicologico, certe paure non mi sono mai passate".

In che senso?

"Nei giorni di pioggia e in quelli di nebbia vivo una strana sensazione. Per stare bene devo vedere sempre un po’ di luce, mentre l’acqua è un elemento che ancora mi provoca brutte sensazioni. Di certo la voglia di fare crociere mi è passata completamente...".

Quel 13 gennaio lei era solo, in mezzo ad altre quattromila persone disperate.

"La mia famiglia era a casa, io ero appena sceso per cena. Nel salone faceva un caldo asfissiante. Addosso avevo solo una camicia, un paio di jeans e una borsa in cui tengo tutto. Ho sofferto così tanto freddo che quando sono tornato a casa mi sono attaccato al termosifone per una settimana".

Oltre al freddo avrà pensato alla sua famiglia che l’aspettava a casa.

"La prima chiamata l’ho fatta a mia moglie, saranno state le 23: “Sto bene, sono salvo”, le ho voluto dire. Dopo aver toccato terra ho vagato per l’isola fino alla mattina. Quegli urli, quell’angoscia, quella sofferenza mi hanno scavato dentro".

Come è tornato alla vita di tutti giorni, quella di parrucchiere alla Catona?

"All’inizio è stata dura. Andavo a lavorare senza voglia, a casa mi ero allontanato dai figli. Volevo stare solo e non mi riconoscevo più. Ma adesso il tempo ha cancellato tutto, apprezzo meglio il gusto della vita e la compagnia delle persone care".

Esattamente un anno dopo il disastro lei è diventato anche rettore del quartiere di Porta Crucifera. Una bella botta di vita.

"Un’esperienza bellissima anche se ho vinto solo una prova generale. Mi ha aiutato molto ritrovare il contatto con la gente e con la passione".

Domanda finale. Cosa pensa del comandante Francesco Schettino?

(lunga pausa) "Sbagliare è umano. Ma un errore così importante, che costa la vita a tante persone, non si può accettare".