Fugge dalla povertà a caccia di un riscatto

Vincenzo scrive di getto la sua storia, dal sud profondo alle fabbriche di juta: senza pause, nè nella vita nè tra le frasi del suo scritto

Migration

di Gloria Peruzzi

AREZZO

Di storie di italiani emigrati dal sud in cerca di lavoro e di una vita dignitosa se ne possono leggere molte. Ha radici lontane la ‘questione meridionale’ che dall’Unità abbraccia gli aspetti economici, politici e socio-culturali di quella parte del paese e i loro abitanti. Condizioni di vita dalle quali, anche negli anni a cavallo delle due guerre, in tanti hanno cercato di fuggire. La miseria la riconoscono anche gli occhi di un bambino. E’ uno svantaggio di partenza, lo comprendi subito, fin da quando la vita ancora non ti ha attrezzato per combatterla, la subisci.

A S.Croce di Magliano, piccolo comune vicino Campobasso, in casa Iacieri, a metà anni ’30, la situazione è insostenibile, lo capisce Vincenzo che vive con la mamma malata e la sorella; il padre è morto quando lui aveva poco più di un anno. Ha 7 anni e mezzo quando, nel 1937, decide di lasciare la famiglia e scappare lontano da miseria e tristezza: "Mia madre già non stava bene comincio a non uscire più di casa e spesso restava a letto le condizioni non andavano per niente si viveva come si poteva tanto che una mattina me la pensai e sono andato via".

Lo scrive, Vincenzo, in "La forza di andare avanti", una memoria degli anni trascorsi tra il 1935 e il 2006. Scrive di getto, con le parole che conosce. Scrive come sa fare, come ha imparato. Non c’è punteggiatura, il racconto è un vortice incessante, un flusso di coscienza che rispetta l’urgenza di scrivere tutto d’un fiato. Non ci sono pause tra le parole come non ce ne sono state nella sua vita. Un susseguirsi di avvenimenti, viaggi, fallimenti, amore e riscatto.

Vincenzo ha ripercorso settant’anni della sua vita fin dal giorno in cui, ancora bambino, decise di incamminarsi verso la stazione di Campobasso: "Arrivato alla stazione O cercato di prendere il treno ma era troppo presto cominciava ad arrivare gente così o pensato di andare via altrimenti mi avrebbero riportato a casa decisi cosi di camminare lungo il binario allora cerano le pattuglie che controllavano la linea ferroviaria e piu di una volta o dovuto nascondermi per non farmi vedere volevo tornare indietro ero stanco ma nel contempo andavo avanti piangevo i piedi mi facevano male avevo fame e sete e cominciavo a cadere sui ciottoli e traversini della ferrovia".

E’ tenace Vincenzo, fin da piccolo, determinato a superare qualsiasi difficoltà sul suo cammino. Non lo fermeranno gli agenti italiani, né la gendarmeria francese. Si sposta spesso, viaggia anche da clandestino. A Genova guadagna qualcosa al porto, in Francia rischia di arruolarsi nella Legione straniera, rimpatriato riparte per l’America, il Brasile e poi New Tork. Lavora in fabbriche di juta, cerca diamanti, trova impiego come barbiere. Cerca dignità Vincenzo, la insegue da bambino, ha imparato che dalla miseria bisogna salvarsi. Ha vissuto anni complicati, talvolta al limite della legalità, pericolosi, finalmente arriva un po’ di tranquillità in quella vita senza respiro e punteggiatura: "comincio a fare un corso per corrispondenza per disegnatore meccanico (…) l’impegno che ci mettevo e la maggiore applicazione nella realta fecero venire fuori qualita inaspettate tanto che sempre piu responsabilità mi venivano affidate". Vincenzo finalmente è contento. Dirige un’azienda metalmeccanica, trova l’amore e mette su famiglia. I sogni puoi realizzarli anche se parti in svantaggio. Vincenzo, morto nel 2007, ne è sempre stato certo.