Francesco Redi, il genio della medicina che litigò con la famiglia e lasciò Arezzo

Considerato anche un grande amministratore di beni aveva rapporti difficili con i parenti. Da Pisa tornò solo dopo la morte

Migration

Claudio

Santori

FFrancesco Redi nacque ad Arezzo ma vi trascorse solo l’infanzia e l’adolescenza. La sua prima attività fu quella di medico: archiatra dei Granduchi di Toscana. Fece per tutta la via un’intensa attività di scienziato, biologo e ricercatore: classificò analizzò e rappresentò con disegni insetti e animali esotici. È il fondatore della biologia sperimentale che comporta esperimenti ripetuti e soprattutto ripetibili: la sua importanza deriva dall’avere di fatto applicato il metodo di Galileo alla biologia! Sensazionale la sua scoperta che ogni essere vivente è generato da un altro essere vivente della stessa specie: con il celeberrimo esperimento della carne protetta da una garza che impediva alle mosche di depositare le uova, sfatò definitivamente la teoria della cosiddetta “generazione spontanea”. Il Liceo Scientifico di Arezzo trova nel Redi l’intestatario ideale perché egli era maestro in tutte le discipline di insegnamento in questo tipo di scuola: al di là della fondamentale valenza di scienziato, fu abile disegnatore, poliglotta, insigne verseggiatore (il suo Bacco in Toscana è un capolavoro!) e musicista (suonava il flauto). Alle lingue classiche aggiunse fin da giovane il francese e lo spagnolo; cominciò e lasciò cadere lo studio dell’inglese (che allora non aveva alcun interesse), ma apprese l’arabo: aveva capito con oltre tre secoli di anticipo con chi bisognava fare i conti! Chicca sulla torta, l’educazione fisica: era anche un temibile spadaccino! La biblioteca del Redi è parte alla Petrarca e parte alla Biblioteca a Palazzo Pretorio (ca. 2000 per parte). Molti volumi sono bellissimi, rilegati con lo stemma della famiglia Redi impresso in oro sul dorso.

Desta particolare interesse il libriccino di Basilio Valentino: Haliografia, un trattato sui sali e sulle loro virtù. Il Redi vi ha apposto una scritta: “Se queste cose fossero vere sarebbe la bella cosa per la medicina; ma le virtù che l’autore assegna a questi suoi sali sono tutte, tutte favole; è un libro fatto a tavolino e non con le esperienze le quali sono necessarissime. Così dice Francesco Redi”. Orgoglio dello scienziato che rivendica il valore della scienza sperimentale e della ricerca, e non dello pseudostudioso che racconta “favole”. Il frontespizio reca, ripetuta stizzosamente più volte tutto intorno, la scritta a lettere maiuscole: Nugae (sciocchezze)! Noteremo en passant che il Redi riuscì a svolgere un’incredibile mole di studi nei più diversi campi grazia all’elaborazione di un efficace metodo di lavoro, fermo restando che la maggior parte del suo tempo fu dedicata allo studio dell’infinitamente piccolo mediante il microscopio. Bisogna dire che trovò un sostanziale aiuto alla prolungata concentrazione in un moderato uso dell’oppio: nessuno si scandalizzi poiché l’oppio, con il laudano e l’assenzio, era allora di libero uso e nessuno (così è stato del resto fino a tutto l’Ottocento). Esercitò una grande influenza culturale sui circoli aretini: patrocinò la nascita dell’Accademia Forzati che è l’antecedente della nostra Accademia Petrarca. I suoi libri furono lasciati all’Accademia Petrarca dall’ultimo nipote: Francesco Saverio. Abilissimo ed astuto amministratore dei beni di famiglia, fece continui e proficui investimenti fondiari che dimostrano, al di là di una certa spregiudicatezza, l’attaccamento alla città e alla terra aretina, come dimostrano gli edifici in via de Redi, la villa agli Orti Redi, la villa perduta al Poggio del Sole e la villa del Piscinale.

I dispiaceri nei rapporti con i familiari furono la causa della decisione di non tornare ad Arezzo se non dopo la morte. Una curiosità. Quando l’osservazione col microscopio gli permise di fare una delle sue scoperte più eclatanti, quella dell’acaro della scabbia, continuò a curare i membri della nobiltà che erano affetti da questa disgustosa malattia con i metodi ufficiali e protocollari dell’epoca (disgustosi e dolorosi almeno quanto la malattia stessa, oltre che del tutto inefficaci!) mentre curava i propri familiari con una semplice, quanto efficace pomata allo zolfo! Spirito libero e indipendente, morì solo a Pisa il 1° Marzo 1697. La solitudine è una sua caratteristica che anche sconcerta: non c’è traccia nei suoi scritti non dico di un amore, ma nemmeno di un qualsiasi legame sentimentale o di un semplice affetto. Il monumento barocco in cattedrale fu voluto dal nipote Gregorio Redi, unico erede delle sostanze dello zio. La sepoltura reca lo stemma dei Redi sormontato dal teschio che rappresenta la morte, ma circondato da corone di fiori che rappresentano la vita. Memoria eterna per lo scienziato che aprì una nuova strada alla scienza sperimentale e indicò come unica la via della ricerca. La tomba è un cenotafio: dove siano finiti i resti di Francesco Redi è a tutt’oggi un mistero che fa il paio con l’analogo mistero dei resti di Giorgio Vasari.