
Fimer, notte in trincea Il racconto degli operai: "Una coltellata alle spalle" Il presidio tra rabbia e ricordi
di Lucia Bigozzi
Un mazzo di carte per dare al tempo e ai pensieri, una parvenza di nomalità. Ma qui, nella fabbrica occupata niente è normale. È la prima notte di presidio alla Fimer di Terranuova: i reparti sono vuoti, i macchinari fermi, l’unica luce accesa è nella saletta delle Rsu dove un manipolo di operai da giovedì è in servizio di vigilanza, perchè tutto resti com’è, in attesa di ripartire. Qui lo stato d’animo è uno strano mix di rabbia e speranza, ma pure di incredulità e senso di impotenza per la salvezza a portata di mano solo pochi giorni fa con l’intesa tra la proprietà e il fondo britannico Greybull Capital Mc Laren, saltata davanti al giudice, in tribunale, con i lavoratori fuori ad aspettare la svolta che non c’è stata. L’azienda rinuncia al concordato e tutto torna al punto di partenza, quello più basso. "Da qui non ci muoviamo finchè non arriva la soluzione", dice Damiano Lazzerini, 48 anni, in Fimer da quando ne aveva venti. Fa parte del gruppo che ha scelto il turno da mezzanotte alle sei, insieme a una decina di uomini e donne del suo reparto.
L’organizzazione prevede la suddivisione in "squadre", in un presidio permanente, giorno e notte, con turni di sei ore. "Mi sembra tutto surreale, anche il fatto di ritrovarci qui a parlare di cosa accadrà nei prossimi giorni, di quale sarà il futuro che ci aspetta". Damiano ha una moglie con un contratto part time e due figli, 18 e 15 anni, che studiano. "Per ora tiriamo la cinghia ma non so quanto potremo durare". I pensieri si dilatano nel silenzio della notte, da fuori i colleghi fanno arrivare panini e pizze. E la saletta delle Rsu diventa la "trincea" della protesta, frontiera della battaglia per difendere il lavoro e le professionalità di 280 lavoratori che fanno di Fimer un colosso negli inverter fotovoltaici.
"Siamo i numeri uno", rivendica Damiano che stenta a capire i contorni di una vicenda "paradossale perchè abbiamo tanti ordini che non riusciamo ad evadere per la mancanza di materie prime". Il lavoro c’è ma la clessidra assottiglia il tempo rimasto per trovare nuovi investitori e scongiurare il default.
"Non mi sembra vero, eravamo a un passo dalla soluzione e ci siamo ritrovati con una coltellata alle spalle. Non ce lo aspettavamo", sibila Damiano mentre cammina verso il piazzale deserto per sgranchire le gambe, con l’alba che avanza e la pioggia che non molla. Pochi passi coi pensieri che pesano e i ricordi che corrono al primo giorno in fabbrica: "Avevo ventitrè anni e il mio incarico era alla linea di montaggio per assemblare componenti elettroniche su schede stampate. Qui dentro, ho investito metà della vita e ora non può finire così". Damiano continua ad assemblare schede elettroniche ma si domanda ancora per quanto.
Lavora insieme a Liviana Rotesi, 62 anni, vedova e con un solo stipendio a fine mese. Lei è in Fimer dal 1995 e ha scelto il turno di notte nella fabbrica che conosce come le sue tasche. "Siamo uniti nella difesa della fabbrica e dei posti di lavoro. Abbiamo tante commesse e non si capisce perchè siamo arrivati a questo punto". È uscita dalla "trincea" Fimer stamani, alle 6. Una notte passata a immaginare i giorni che verranno, a parlare "di figli e di bollette da pagare. Se dovesse precipitare tutto io come faccio? Sono vedova, mia figlia ha un lavoro precario e il mio stipendio ci consente di andare avanti". L’alba di una domenica d’inizio estate porta con sè il gelo della paura.