
Konchalovsky e il cast sul red carpet di Roma
Arezzo, 29 ottobre 2019 - «Non mangiate il pop corn in sala: questo è il film del silenzio». Andrej Končalovski, il gigante del cinema russo, si appella agli spettatori dal backstage che precede la prima proiezione mondiale del suo film su Michelangelo, «Il peccato», alla Festa di Roma. Un silenzio che avvolge in un certo senso anche Arezzo, lì dove pure il set ha fatto tappa per alcuni giorni. Arezzo c’è ma non si vede: o meglio si vede eccome, ma riconoscibile solo a chi la conosca.
Lo avevamo previsto nelle ore delle riprese: perché la macchina riprendeva via Vasari lasciando in fondo uno schermo. Facile intuire quello che sarebbe successo. E il regista, con la franchezza dei grandi autori, spiega anche perché. «Avremmo dovuto riprendere piazza della Signora in tanti suoi dettagli: ma anche con i ciak alle 6 di mattina c’erano centinaia di persone, E comunque bar, locali decisamente fuori epoca». Lo spiega sempre nel backstage e parla esplicitamente di Arezzo.
Niente da dire sul piano della ricostruzione storica: Michelangelo lega il suo nome a Caprese, dove è nato, ma non certo alla nostra città. E del resto della sua vita il regista sceglie di concentrarsi tra pochi episodi, che fotografano crisi di coscienza ma anche gli equilibri tra i della Rovere e i Medici, tra la sua vocazione e i controlli vaticani, tra l’arte e il denaro. Dal palcoscenico ringrazia il «popolo di Carrara»: in diretta, perché sul red carpet salgono anche tanti cavatori, volti strappati alla pietra e consegnati al cinema.
Il grazie ad Arezzo lo affida ai titoli di coda: ricorda il sindaco Ghinelli, l’assessore Comanducci, l’appoggio della polizia locale e perfino del liceo classico Petrarca. Il resto è una caccia alle scene tra i fotogrammi del film. Dopo dieci minuti ecco via Pescaia:era stata trasformata per il set. Il protagonista si affaccia dalla sua finestra fiorentina e vede sfilare un gruppo con le fiaccole, proprio in fondo alla via.
Da buon aretino riconosci il profilo di Fraternita e perfino la sagoma della fontana, per il resto del mondo è Firenze, la stessa Firenze che troneggia in fondo alle Logge Vasari, al posto dello schermo che era stato frapposto durante le riprese.
Certo, il colpo d’occhio è unico: perché la fotografia di Alexander Simonov apre un mondo incredibile di terra e fango, dolore e passione. Nel quale tante comparse aretine riconosceranno se stesse, forse chiedendosi quando abbiano preso quel treno per Firenze. Il film rompe i soliti schemi del regista, lo costringe a datare e individuare i luoghi per mantenere il rigore della ricostruzione storica.
Non è nè poteva essere il suo film migliore, solo in certe scene si avvicina alla poesia profonda del «Postino» o di «Paradise» e sempre dalla cime delle Apuane, negli sforzi di strappare alla montagna il marmo dei capolavori. Sì, è il film che esalta Carrara e che sfiora appena Arezzo ma comunque le regala una grande ribalta. Il film chiude la Festa del Cinema di Roma: la Sala Sinopoli è strapiena, in platea anche il fratello di Konchalovsky, anche lui regista, il grande Nikita Michalkov.
I riflettori sono tutti per loro, prima per il racconto del film, poi per il red carpet,l’ultimo dell’anno, infine per la proiezione. Annunciata su schermo nero da un lieve suono di campane, sostituite subito dagli «odori» del Cinquecento, dai volti segnati dei protagonisti, dalle sfide di una produzione che ha portato perfino un elefante a Roma. Al parco di villa Giulia: nella finzione saranno i giardini Vaticani. La legge del cinema è uguale per tutti.