Fallimenti, già 55 aziende hanno chiuso bottega nel 2014

E nel 2013 sono 104 le imprese che hanno consegnato i registri

Sereni e Salvini

Sereni e Salvini

Arezzo, 26 settembre 2014 - Falliscono 55 imprese e soltanto nei primi sei mesi del 2014. Un dato che non fa certo sorridere. È vero che è in linea con quello dello scorso anno, quando il numero di fallimeneti nei primi sei mesi fu assolutamente identico. ma è vero anche che a fine 2013 il numero delle imprese che chiusero bottega sforò quota 100, arrivando a 104, il dato più alto degli ultimi cinque anni. Eppure, se proprio vogliamo consolarci in qualche modo, nel resto d’Italia va anche peggio. In tutta la Penisola, infatti, i fallimenti nel primo semestre sono cresciuti di oltre il 10%, da noi almenol’ aumento non c’è stato. 

Se non cambiano le proporzioni, cambiano i settori che risentono maggiormente della crisi economica, come spiega Giuseppe Salvini, segretario Generale della Camera di Commercio di Arezzo: «Indubbiamente si è registrato, a partire dal 2008, in concomitanza con l’esplosione della crisi finanziaria ed economica, un incremento notevole dei fallimenti ma rispetto allo scorso anno, l’unica variazione è nei settori . Rispetto al 2013 sono calati del 17% i fallimenti nel settore manifatturiero ed edile mentre sono cresciuti del 27% nel settore del commercio e dei servizi di ristorazione a dimostrazione della lunga difficoltà del mercato interno». Non a caso, il manifatturiero è il settore che esporta. 

«La situazione aretina rispetto a quella nazionale evidenzia una sostanziale tenuta del sistema imprenditoriale locale — spiega Andrea Sereni, presidente della Camera di Commercio.— Pur in presenza di difficoltà derivanti dalla stretta creditizia e dalla stasi del mercato interno le nostre imprese continuano ad operare e ad onorare gli impegni assunti. Occorre evidenziare però un importante elemento: il fallimento, se non sussistono reati o responsabilità penalmente rilevanti è un evento possibile nella vita di una impresa. Negli Stati Uniti e nel Nord Europa non è quello “stigma sociale” che caratterizza il fenomeno in Italia. Viene considerato come un insuccesso che rafforza il mercato e che può far parte della esperienza di un imprenditore. Non assume quelle caratteristiche negative che, molto spesso, caratterizzano i fallimenti italiani. Fallire quindi, pur provocando conseguenze negative per gli imprenditori coinvolti, sopratutto quelli creditori , è un rischio del fare impresa, non certo un marchio di infamia». 

Insomma, ad Arezzo va meglio che nel resto d’Italia ma non c’è di che stare sereni.Anche questo indicatore, come quasi tutti i parametri economici che quotidianamente gli analisti prendono come riferimento, indica che l’economia aretina dipende molto dal volume di esportazioni, le aziende che lavorano soltanto con il mercato interno sono invece in fortissima difficoltà. Ne sono un esempio lampante gli aumenti di fallimenti nel settore del commercio. Ancora una volta, dunque, la ripresa degli scambi commerciali con l’estero è essenziale per il tessuto economico aretino. Purtroppo questa volta non c’è strategia commerciale che tenga, gli occhi sono puntati verso l’Africa e il Medio Oriente, sperando che i conflitti si risolvano. Per mille buoni ragioni, non ultima quella commerciale.