
di Lucia Bigozzi
"Quando entri in quei locali dove il panno del Casentino si fa dal 1800, senti che c’è un’anima. E’ questo che dopo tanti anni, mi fa svegliare la mattina alle 5 e preparare l’acqua che esiste solo qui e rende il prodotto unico", dice Roberto Malossi che crea tessuto in pura lana insieme a Nicoletta, Antonella e altri quindici artigiani nello stabilimento di Soci, stretto nelle maglie di curatele legate alla gestione dell’immobile.
Una vicenda intricatissima che si trascina da anni e oggi culmina con "diciotto lettere di licenziamento pronte a partire. Un impatto sul distretto economico del tessile devastante, se si pensa che il panno del Casentino dà lavoro a un centinaio di persone nella vallata, compreso due grandi aziende, la Tacs e la Tessilnova di Stia che commercializzano i tradizionali cappotti del Casentino in tutto il mondo" mette in guardia Alessandro Mugnai (nella foto in alto) dirigente della Filctem Cgil che non si spiega perchè nel novero delle valutazioni sul futuro della produzione, "non si tenga conto del valore storico del panno del Casentino, prodotto di nicchia che dopo la pandemia ha ripreso a tirare nei mercati internazionali, tanto che a Soci i macchinari girano a pieno regime".
Lo spettro delle lettere di licenziamento è sul tavolo della Prefettura di Arezzo che ha avviato un lavoro di mediazione tra le parti in campo. E’ l’impegno assunto dal prefetto Maddalena De Luca che ha aggiornato la prossima riunione a settembre per arrivare a una soluzione che tenga conto di tutto il pacchetto.
Dal canto loro, lavoratori e Cgil hanno chiesto di "congelare" le lettere di licenziamento che, di fatto porterebbe la "Manifattura del Casentino alla chiusura e il panno del Casentino a scomparire dai mercati e dalla storia. Tutto questo non perché l’azienda vada male o il settore tessile non tiri. Tutt’altro. E’ stato superato un lungo e difficile periodo di crisi e ora le commesse ci cono. Il punto è che la Manifattura del Casentino rischia di chiudere per una pura questione immobiliare".
E’ il nodo, assai ingarbugliato, che resta da sciogliere e sulle quali le parti, con la mediazione del prefetto, dovranno trovare un punto di caduta. Anche perchè gli acquirenti interessati a rilevare l’immobile ci sono, e tra questi c’è "Aruba azienda leader nei servizi tecnologici (e origini casentinesi), e un colosso laniero di Prato, disposto con tanto di formalizzazione dell’offerta", sottolineano i lavoratori, a comprare edificio, macchinari e produzione salvando posti di lavoro e garantendo la continuità di un capo di abbigliamento "particolarmente richiesto in India". Roberto, Antonella e Nicoletta, vanno fieri di una competenza acquisita "in oltre venti anni passati a creare capi esclusivi. Non riusciamo a comprendere perchè con gli ordini e tutto il lavoro che abbiamo, si debba arrivare alle lettere di licenziamento".
La storia è un dedalo di passaggi, corsi e ricorsi. Una delle precedenti società, proprietaria dell’immobile, è stata affidata a un curatore fallimentare che l’ha messa all’asta. Osserva Mugnai: "Si è registrato un intrecccio complesso tra vecchie e nuove società, tra curatori fallimentari, tra potenziali acquirenti dell’immobile". Della delegazione che ha incontrato il prefetto De Luca, ha fatto parte il sindaco di Bibbiena Fillippo Vagnoli (nella foto in basso) per il quale "la priorità e la tutela dei posti di lavoro". Mugnai rileva che "prefettura e sindaco hanno svolto al meglio il loro ruolo istituzionale" e tuttavia fa notare come "durante la riunione nessuno abbia ottenuto la risposta che ci attendevamo e cioè, il blocco delle lettere di licenziamento".
Il futuro dei diecimila metri quadrati dove quindici anni fa "era un altro mondo" - sospira Ropberto - resta appeso a diciotto lettere che potrebbero partire a breve. In mezzo, due acquirenti e una mediazione per sciogliere il rebus, prima che sia troppo tardi. Ma in questa vicenda c’è pure un paradosso che ha il sapore della beffa: il panno del Casentino è candidato alla tutela Unesco come patrimonio dell’umanità.