
Silvia Baracchi
Arezzo, 30 aprile 2020 - La sua stella Michelin ha compiuto diciotto anni ma per la chef del Falconiere Silvia Baracchi il tempo sospeso del virus non è dedicato a sperimentare ricette innovative: «A mio marito Riccardo piacciono i piatti di una volta: va matto per le tagliatelle al sugo di coniglio, gliele faccio volentieri».
Il ristorante con annesso relais di San Martino a Bocena è da anni un punto di riferimento internazionale dell’accoglienza e della cucina. È l’unico stellato in provincia, un mix di tradizione e innovazione a cui, dal 2002, la guida più importante al mondo ha attribuito una stella. Insieme al Falconiere sono poi arrivate la Bottega Baracchi a Cortona e la Locanda del Molino a Montanare. In più c’è anche l’azienda agricola di famiglia che produce olio d’oliva e vino.
Baracchi, come occupa le giornate lontano dal ristorante? «Mi sono messa a dare una mano a mio marito in campagna, abbiamo impiantato insieme una nuova vigna. Si fa fatica perché la terra è bassa, come si dice dalle nostre parti, ma almeno viviamo all’aria aperta».
Con tre ristoranti e un relais c’è da essere preoccupati... «Abbiamo settanta dipendenti: molti di loro li considero di famiglia perché lavorano per noi da più di vent’anni. Il mio obiettivo è salvaguardarli il più possibile ma dobbiamo capire bene come ripartire e il governo non ci sta dando una mano. Serve più flessibilità, ogni ristorante ha una struttura ed esigenze diverse per garantire la sicurezza. Per ora sui comportamenti da tenere quando riapriremo vedo solo tanta confusione».
Buona parte della vostra clientela è legata al turismo internazionale che caratterizza Cortona. Sarà difficile rivedere quei flussi in tempi brevi. «È una percentuale superiore al 70%. Quest’estate puntiamo sul turismo italiano anche se la propensione alla spesa è molto diversa da quella degli stranieri, in particolare degli statunitensi. Credo che gli italiani avranno una gran voglia di riscoprire il loro Paese, spero che ci siano le condizioni per farlo».
Ci sarà da attraversare una fase in cui al ristorante si andrà vestiti come in un reparto rianimazione? «È quello che dobbiamo evitare: in mezzo alla confusione che regna sulla fase della ripartenza dico che non dobbiamo avere troppa fretta. Gli esperimenti non vanno bene: un cliente al Falconiere cerca uno standard di qualità molto alto. Non si può pensare di fare un’esperienza del genere con mascherina e guanti chirurgici. Valutiamo situazione per situazione, chi ha spazi all’aria aperta non può avere le stesse prescrizioni di una piccola trattoria».
In base alle ultime comunicazioni del governo il 1° giugno bar e ristoranti dovrebbero riaprire. Lei che farà? «Non sarà facile rimettersi in moto per quella data in condizioni accettabili. Io preferisco aspettare a decidere, quando ci sarà chiarezza sugli scenari e sulle regole che dovremo rispettare. Ho aperto il Falconiere nel 1989 e ho atteso tredici anni per la stella Michelin che mi sembrava non arrivare mai. La stessa pazienza ci serve adesso per tornare a fare ristorazione».