Davide, due mesi di misteri: la partita del Dna

L’auto di Pecorelli fu trovata carbonizzata il 6 gennaio in Albania. Ancora mancano i risultati del test sulle ossa ritrovate nell’abitacolo

Pecorelli

Pecorelli

di Fabrizio Paladino

Gli investigatori stanno seguendo una pista ben precisa per fare luce sul mistero dell’imprenditore sangiustinese Davide Pecorelli, con le indagini che, presto, potrebbero arrivare a una svolta. Tutto questo a due mesi esatti da quando il 45enne ha interrotto le comunicazioni con i familiari.

Intanto l’albanese Report Tv svela i contenuti di una lettera dei magistrati di Tirana inviata alle autorità italiane "tenute a verificare tutti i conti bancari in Italia e le transazioni che Pecorelli potrebbe aver effettuato a cittadini albanesi". Ma non solo, si chiede pure di verificare "la somma di denaro che aveva quando è partito per l’Albania, da chi era accompagnato durante la giornata del 3 gennaio". Poi sono stati sollecitati dei riscontri alle compagnie telefoniche italiane, tutti i numeri ed i contatti avuti con i contatti albanesi.

Proprio a ridosso del 6 gennaio l’auto noleggiata dal 45enne all’aeroporto di Tirana è stata trovata avvolta dalle fiamme in una zona sperduta a nord dell’Albania, nel territorio di Puke, non distante dal Kosovo. All’interno del veicolo la polizia il giorno dopo, durante una verifica nel magazzino del commissariato, ha individuato qualche effetto personale (l’orologio e il telefono di Davide, riconosciuti nei giorni successivi dalla compagna – che ha poi nominato un legale, l’avvocato Giancarlo Viti – durante la sua deposizione davanti alla polizia albanese) e, soprattutto, alcuni frammenti ossei (in prevalenza del cranio) sui quali, in Albania, sarebbe già stato effettuato un primo esame del Dna comparato con quello del fratello Antonello.

Sulla vicenda, quasi da subito, c’è stato un grande riserbo da parte degli investigatori albanesi e italiani, con la procura perugina che ha aperto un fascicolo per omicidio (l’inchiesta è seguita dal pm Giuseppe Petrazzini). In particolar modo, sul Dna si è acceso, da settimane ormai, un lungo dibattito: le ossa sono partite ufficialmente il 9 di febbraio dall’Albania e in Italia il Dna sarebbe già stato comparato con quello di altri familiari ‘stretti’. A Tirana – sempre secondo fonti giornalistiche locali – l’esito è atteso per questo fine settimana.

Sta di fatto che, a distanza di due mesi da quando quelle fiamme si sono spente, non si è di certo spento l’interesse dell’opinione pubblica intorno a questo intricato caso. Le ipotesi investigative, come detto, almeno dall’inizio sono state molteplici: dall’allontanamento volontario, alla disgrazia, al suicidio (molto improbabile) fino, appunto, all’omicidio maturato in un contesto non meglio precisato.

Davide da settembre dello scorso anno si recava periodicamente in Albania per vendere dei costosi laser da utilizzare nei centri estetici. A dicembre l’imprenditore era stato prevalentemente in Albania, per ritornare in Altotevere solo per qualche giorno durante le festività natalizie.

"Tornerò fra 2-3 mesi" dice ai familiari più stretti, come risulta dagli atti. Segue un viaggio ancora da chiarire: si reca a Valona, poi ancora Tirana e Scutari per raggiungere infine Puke (a ore di distanza dai centri principali). Qui prenota per tre notti in un albergo: alla terza non si presenta e la Skoda Fabia su cui viaggiava viene prima segnalata da un contadino mentre va a fuoco e poi ritrovata dagli investigatori lungo la vecchia strada da Shpali a Puka, vicino al villaggio di Gjegjan oltre 30 chilometri dall’hotel.

Sessanta giorni di domande, da quel fatidico 6 gennaio, di ipotesi che al momento non portano, purtroppo, a nulla di buono.