
Proteste a Banca Etruria
Arezzo, 27 giugno 2020- Le subordinate, poi azzerate, di Banca Etruria furono davvero una truffa ai danni dei risparmiatori. Ma non per questo ne sono responsabili tutti i dipendenti che le collocarono, solo quelli (i quattro condannati) che le piazzarono «a tutti i costi». Quanto alla cabina di regia ipotizzata dalla procura, non stava nel livello intermedi dei dirigenti dell’area commerciale della banca, che infatti sono stati tutti assolti, ma eventualmente a un piano ancora superiore, quello dei vertici.
Eccole le motivazioni della sentenza con cui il giudice Angela Avila giustifica la sua sentenza di settembre, eccole a distanza di qualche mese, quando il magistrato, che le ha depositate ieri, si è già trasferito al tribunale di Perugia. Era il meccanismo delle obbligazioni, spiega il giudice in oltre 120 pagine, a essere diabolico di per sè. Bpel, infatti, fra luglio e ottobre del 2013, i periodi di emissione dei titoli, era già in grave difficoltà, a corto di liquidità e pressata da Bankitalia per ricapitalizzare.
Le subordinate furono uno degli strumenti attraverso i quali venne rimpolpato il capitale di vigilanza, ma i titoli erano ad alto rischio, perchè un default della banca, come quello che poi avvenne, avrebbe lasciato i risparniatori in braghe di tela, facendo perdere loro il capitale investito a tassi che, per il livello di pericolo reale, erano totalmente inadeguati, fra il 2,5 e il 4 per cento. Ma perchè Etruria puntò sulla larga platea del pubblico al retail? Dopo il declassamento di Fitch (l’agenzia di rating) a Bb+, praticamente spazzatura, risponde Avila, gli investitori istituzionali erano difficili da raggiungere, meglio il parco buoi di chi non sapeva: «Di fatto Bpel aveva necessità di ricapitalizzare e ha abbassato il target della clientela retail, ponendo un rischio medio di gran lunga inferiore all’effettivo rischio alto».
Bene, ma cosa c’entrano i dipendenti, direttori o impiegati, che effettuarono materialmente il collocamento agli sportelli? Secondo Avila, avevano la consapevolezza delle reali condizioni finanziarie in cui si trovava la banca. Magari non sapevano tutti delle due lettere del governatore Ignazio Visco datate 24 luglio 2012 e 3 dicembre 2013, ma delle condizioni drammatiche di Etruria si parlava sia nelle riunioni sindacali che in quelle di lavoro, come da testimonianze in aula. E’ vero che alcuni di loro avevano sottoscritto le stesse subordinate proposte ai clienti, ma la differenza è che loro lo fecero consapevolmente, assumendosi il rischio, mentre il pubblico cui si rivolgevano non sapeva e non venne informato da chi (direttori e impiegati) aveva nei loro confronti un dovere di «agire trasparente, corretto e diligente».
Perchè allora dei dipendenti a processo solo alcuni sono stati condannati (a parte quelli per i quali sono state ritirate le querele)? Ci fu dolo solo nei casi in cui si adoperarono tutti i metodi, dall’ignorare il Mifid alla sottovalutazione voluta del grado di studio e della capacità di comprendere i rischi di una subordinata, pur di arrivare al risultato. E’ questa la distinzione, il «quid pluris», lo chiama Angela Avila, fra i sommersi e i salvati. Sarà anche uno dei temi degli appelli, perchè gli avvocato difensori sosterranno ovviamente che i loro assistiti non sapevano, almeno non sapevano della reale portata della crisi di Bpel.
E la famosa cabina di regia, il gruppetto di dirigenti dell’area commerciale che erano accusati di aver istigato i colleghi a collocare appunto a tutti i costi? Il giudice Avila dice che se cabina di regia vi fu, non stava a quel livello di mezzo. Non è stata portata prova del collegamento fra le mail di esultanza e di sprone («sopra le righe») partite dai piani alti e il comportamento dei dipendenti delle filiali. Chi raccontò di essere stato punito col trasferimento per non aver voluto piazzare le subordinate troppo rischiose aveva sì ragione nel dirlo ma fu spostato in realtà perchè si stava accordando con banche concorrenti e Bpel voleva tutelare il proprio portafogli clienti.
Semmai, spiega il giudice, i registi andavano cercati al vertice di Etruria, «chi ha pensato, ideato e voluto emettere, con le modalità anomale sopra descritte, tali titoli», ma non è stata questa l’impostazione della procura e delle indagini delegate alla Finanza. Tanto che (testuale) «in tal senso si rileva che lo stesso Pm, nè qui nè altrove non ha proceduto nei confronti dei vertici della banca, e in relazione al reato di falso in prospetto loro contestato ha chiesto l’archiviazione». In realtà, l’archiviazione è stata chiesta e disposta solo per i imembri del Cda, mentre in tre, l’ex presidente Fornasari, l’ex direttore Luca Bronchi e l’allora direttore centrale David Canestri sono ancora a processo per il falso nel prospetto inviato a Consob sulle subordinate. Un errore di fatto che ha scatenato più di un malumore in procura. Il caso bond azzerati scotta ancora.