
Martina Rossi
Arezzo, 3 luglio 2018 - «Fottiti, sul corpo non ci sono segni di violenza di tipo sessuale»: così Alessandro Albertoni si rivolge all'amico Luca Vanneschi, mentre sono in attesa di essere sentiti dagli inquirenti a Genova, in un video mostrato oggi dalla parte civile al processo ad Arezzo per la morte di Martina Rossi, la ventenne studentessa genovese deceduta il 3 agosto 2011 cadendo dal balcone di un albergo di Palma di Majorca.
A mostrare il video, realizzato nell'ambito di intercettazioni che erano state disposte dagli inquirenti, è stato l'avvocato Luca Fanfani, legale dei genitori di Martina. Una mossa contestata dalla difesa di Albertoni e Vanneschi, gli avvocati Tiberio Baroni e Stefano Buricchi, che hanno sostenuto che «contano solo le intercettazioni ufficiali del tribunale»: il perito incaricato aveva giudicato incomprensibili quelle relative al video mostrato. Il materiale è entrato comunque a far parte della documentazione processuale.
Nelle immagini mostrate in aula sempre Albertoni dice a Vanneschi: «Non era normale (Martina ndr). È stato bello eh? Ricordarsi di cosa è successo con quanto salati si era...c'è stato un momento che io ero volato». Per il procuratore di Arezzo Roberto Rossi, che ha coordinato l'inchiesta, Martina precipitò dal balcone mentre scappava da Albertoni e Vanneschi che avevano cercato di violentarla. Per la difesa la giovane invece si suicidò.
In sovrimpressione alle immagini c’è la ricostruzione di quanto Alex e Luca si dicono mentre vengono intercettati dagli inquirenti. La voce è bassa, alcuni passaggi difficili da capire. Infatti il consulente del tribunale aveva lasciato nelle sue trascrizioni, depositate un anno fa, molti «incomprensibile» nei passaggi del dialogo. Vuoti che adesso il perito dei genitori prova a colmare con la sua rilettura di quanto Albertoni e Vanneschi si bisbigliano.
Uno dei momenti chiave fa riferimento all’ipotesi dello stupro: «Nel cadavere - spiega Alessandro, il primo a essere sentito, a Luca ancora in attesa di entrare - non vi sono riportati segni di violenza...di tipo sessuale». Per i due ragazzi il passaggio è così importante che ci tornano sopra subito dopo. Albertoni esulta: «Sentirsi dire una cosa lì, ye ye, urlo, urlo». E ancora, rivolto a Vanneschi: «Fottati, sul corpo non ci sono violenze sessuali».
A questo punto, il più malleabile dei due, Luca appunto, sembra chiedere istruzioni all’amico: «E che lei s’è buttà...buttata?» E Alessandro replica come a suggerire: «Un ghio so. L’aveva chiusa lei (la finestra Ndr)...è pazza», mimando con la mano il segno della picchiatella. Poi ribadisce «Che nn’era normale». Luca pare aver afferrato il senso: «Ah sì, che non si cavava più» (come a dire che non se ne andava Ndr). Segue la frase più choccante di tutte, pronunciata da Albertoni: «E’ stato bello, eh?».
L’espressione di per sè è misteriosa, ma famiglia e anche procuratore Roberto Rossi la leggono come un riferimento a quanto successo nella stanza in quell’alba tragica e lo collegano alle frasi su Facebook scritte da Vanneschi al ritorno dalle Baleari: «Abbiamo lasciato il segno...una vacanza alla Vallanzasca». Anche perchè nelle sbobinature del perito dei genitori c’è un’ulteriore frase sibillina destinata a far salire la suspense: «Ti giuro - dice Albertoni - che io e te ricordarsi di quanto salati s’era...Boia c’è stato un momento che...io ero volato». E Luca acconsente: «Eh sì».
Bene, ma cosa vuol dire «salati»? Secondo la perita, si tratta di una frase di gergo giovanile, adoperata anche in Valdarno (i ragazzi sono di Castiglion Fibocchi) in cui la si adopera come sinonimo di «fumati» o «fatti».
Gli avvocati di parte civile, Luca Fanfani e Stefano Savi credono a questo punto di aver dato una svolta al processo in senso colpevolista. Le difese, invece, con Stefano Buricchi e Tiberio Baroni, si attestano sulla trincea delle trascrizioni ufficiali: contano solo quelle, queste sono suggestive e non sempre attendibili.
In mattinata i consulenti medicolegali della famiglia avevano parlato di una dinamica della caduta che in base a complessi calcoli cinetici sarebbe incompatibile con lo scenario del suicidio. In particolare, alcune fratture come quella alla mandibola non sarebbero state provocate dalla caduta ma sembrerebbero l’effetto di un colpo secco. Il pugno di cui avevano parlato i genitori nella loro testimonianza? Nessuno si azzarda fino a quel punto.
I segni lasciati dalla caduta di Martina sono incompatibili con lo scenario del suicidio: lo dicono i periti medico-legali della parte civile, cioè la famiglia, che occupano l'intera mattinata del processo sulla morte della studentessa genovese in un grande albergo di Palma di Maiorca, il 3 agosto 2011, quello nel quale due giovani aretini, Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, sono accusati di aver provocato la tragedia della ragazza, in un tentativo di stupro avvenuta all'alba nella camera 609, quella occupata dai ragazzi di Castiglion Fibocchi.
L'udienza si svolge interamente a porte chiuse perchè il presidente Angela Avila decide di escludere il pubblico per la crudezza delle immagini che vengono mostrate, relative alla caduta. Bene, dicono i consulenti della famiglia in base a una serie di complessi calcoli cinetici sulla traiettoria, gli elementi a disposizione portano ad escludere il gesto volontario, quello che invece i ragazzi indicano come la causa della morte: Martina, raccontano indirettamente tramite quanto riferirono alle compagne di vacanza di lei, prese lo slancio e si gettò di sotto, dopo aver aggredito Albertoni in una sorta di crisi isterica con tanto di frasi sconnesse e incomprensibili.
No, ribattono gli esperti, almeno un paio di fratture, al sopracciglio e alla mandibola sembrano incompatibili con l'ipotesi del suicidio. In particolare, quella alla mandibola sembra il risultato di un impatto specifico e non legato al volo di sei piani. I consulenti però non si sbilanciano nel tracciare scenari, come quello del pugno che avrebbe colpito la ragazza e di cui ha parlato la mamma nella sua testimonianza, attribuendo al marito, Bruno Rossi, l'ipotesi di un cazzotto quando0 ebbe modo di vedere il corpo all'obitorio di Palma, il giorno dopo la morte.