
Aiuti agli israeliani. Tredici già accolti nella casa di Jack: "Evitare parole violente"
"In questo momento bisognerebbe evitare qualsiasi parola che abbia una connotazione di violenza. E al tempo stesso bisognerebbe evitare parole come vittoria ed esprimo questo concetto anche quando mi trovo in Israele". Perchè "non esistono vittorie in un a guerra, ci sono perdenti da tutte le parti". Jack Arbib, intellettuale israeliano, ieri ha accolto la tredicesima persona nella sua casa a Monte San Savino. Che ormai ha assunto le forme di un piccolo kibbutz. Il richiamo ad evitare parole che richiamano alla violenza, suona come un messaggio, una sollecitazione che vale anche per chi ieri ad Arezzo ha manifestato per la Palestina. Le parole, adesso, non possono essere usate come armi, dividere, contrapporre, trasformare le persone in nemici, alimentare la fazioni. No, Jack che conosce il fragile equilibrio che tiene in bilico lo scacchiere mediorientale sull’asse Israele-Palestina, sa che le parole possono incendiare, proprio quando dovrebbero spegnere.
Nella sua casa trovano riparo e calore nei giorni bui dell’orrore, alcune famiglie israeliane in vacanza in Italia ma bloccate per via della guerra. Anche Jack fondatore dell’associazione culturale Salomon Fiorentino, avrebbe dovuto fare rientro ieri in Israele, a Jaffa, dove vive con la famiglia, ma i voli sono tutti cancellati.
Due dei suoi quattro figli hanno raggiunto lui e la moglie nella casa a Monte San Savino dove trascorrono periodi dell’anno e dove "mi sento come a casa, io mi sento savinese", scandisce Jack. Nel tam tam tra telefoni e social, ha saputo delle difficoltà dei connazionali bloccati nel nostro Paese e si è messo subito all’opera. È partita la mobilitazione insieme ai figli per gestire la parte logistica e organizzativa. Contatti e arrivi: ora sono tredici le persone che accoglie. "Una persona è arrivata venerdì, e ieri sera abbiamo condiviso un momento molto intenso ed emozionante. Ci siamo ritrovati tutti insieme, abbiamo parlato di quello che sta accadendo, ci siamo confrontati". Una pausa, poi il racconto riprende, non a caso, da una parola: luce.
"è il termine evocati da tutti, la parola più ricorrente nella nosttra conversazione. Tutti aspettiamo di vedere una luce in fondo al tunnel del conflitto. E la speranza è sempre viva, anche in momenti drammatici come quello che stiamo vivendo". Le notizie, gli aggiornamenti, corrono da Israele a Monte San Savino sugli schermi dei telefonini o sulle chat che servono a non spezzare il filo degli affetti. Anche se è cominciata la conta degli amici morti. "Ogni israeliano, in qualche modo, è stato toccato da questa tragedia. Tutti hanno un parente, un amico, un vicino di casa coinvolto".
L’obiettivo che Jack ha davanti è fatto di cose piccole ma importanti, mai come in questo momento. "Cerchiamo di trasmettere loro un’idea di normalità me condividiamo i giorni con iniziative per i bambini. I miei figli si sono inventati dei giochi per i più piccoli per far passare loro il tempo e provare a restituire un briciolo di tranquillità". I bambini di queste famiglie sanno cosa sta accadendo e alcuni di loro hanno il padre in Israele. Ma qui, si lavora per tenere viva quella luce. Che aiuta a illuminare il futuro.