Addio al prof dell’arte aretina. Paolucci cittadino per amore

È morto il grande storico: curatore della mostra di Piero, appassionato della città e di Sansepolcro "La domenica che arrivai ad Arezzo" raccontava. Il legame con la Fiera, il lancio in Vaticano, le carte di Vasari.

Addio al prof dell’arte aretina. Paolucci cittadino per amore

Addio al prof dell’arte aretina. Paolucci cittadino per amore

"Era una domenica del 1961: arrivai ad Arezzo in 500, mi ritrovai di colpo a San Lorentino davanti allo scenario di Piero". Chiudi gli occhi, come faceva lui quando si perdeva nel racconto della grande bellezza. Come quel giorno, nel febbraio del 2010, nell’accogliere la cittadinanza onoraria della città. Quello sguardo ieri si è spento per sempre e già in tanti ne avvertono la mancanza. Lo sguardo di Antonio Paolucci, l’ultimo grande professore dell’arte italiana e aretina, cittadino più per amore che per onore: innamorato di Arezzo da sempre, e soprattutto da quella domenica del 1961. "Il campanile del Duomo, quello della Badia, la torre del Comune. È stato straordinario accorgermi che quel colpo d’occhio era rimasto lo stesso".

Confronta la sky-line del 2010 con quella degli anni del boom: e ne coglie i dettagli sconosciuti ai più. Ministro, direttore degli Uffizi e dei musei vaticani, un cursus honorum da togliere il fiato e soprattutto una conoscenza impressionante dell’arte. Alla quale Arezzo aveva colto a piene mani, punto di riferimento bipartisan di tutte le amministrazioni. "Sono addolorato per la sua scomparsa, era un amico sincero della nostra città, mai ha mancato di apprezzarne la straordinarietà dei tesori. Ho di lui più di un ricordo, tra i più recenti quello legato alla presentazione della Giostra straordinaria che si tenne nel 2016 in Vaticano"+. Il sindaco Ghinelli appende la memoria ad un’altra giornata. Ma c’è l’imbarazzo della scelta. Dalla grande mostra di Piero della Francesca, realizzata dalla Provincia di Vincenzo Ceccarelli. Lui era il curatore scientifico a fianco di Carlo Bertelli: due gentiluomini, due esperti ma insieme due divulgatori. La voce di Patrizio Bertelli risuonava negli audio che scandivano le sale dei capolavori. Quella di Paolucci accarezzava chi lo seguiva sul percorso del maestro del Borgo. A Monterchi, lì dove confrontava i colori della Madonna del Parto con quelli del cielo di Piero. La stessa Monterchi alla quale aveva dedicato l’ultimo intervento aretino. Era in ballo il possibile ritorno del capolavoro nella cappella di Momentana e con un filo di voce, già provato dalla malattia, confidò a La Nazione tutta la sua emozione. "Una grande gioia. È quello l’unico ambiente adatto al capolavoro, non ho mai avuto dubbi. La sua forza era nella qualità dell’opera ma anche nell’isolamento dove andavi a scovarla. Ritroverebbe la forza e il peso degli anni lì dove tutti l’abbiamo scoperta".

Parole indigeste ai monterchiesi ma Paolucci non cambiava linea secondo gli interlocutori, perchè teneva sempre dritta la barra dell’arte. Per questo lo ricorda anche il sindaco di Sansepolcro Innocenti, della quale era cittadino onorario. "A lui ci legano ricordi di stima e proficua collaborazione, cementati nei tanti anni in cui ha svolto prestigiosi incarichi locali e nazionali, e nei quali ha espresso profondo amore per Sansepolcro e l’arte di Piero". Parimenti si era innamorato della Fiera. "La nostra Fiera" la chiamava, con lo stesso entusiasmo di quella domenica del 1961. Aveva guidato, su designazione di Beppe Fanfani e Paolo Nicchi, l’edizione dei 40 anni. "Voglio riprovare l’adrenalina degli anni ’60: quando arrivavo alla Fiera con pochi soldi e andavo a caccia dell’occasione e magari pescavo la fregatura. Voglio dare il mio contributo perché insieme possiamo ritornare grandi". Le sue strade si incrociavano continuamente con quelle aretine. Fino agli ultimi anni, forse il suo ultimo incarico era stato quello di supervisore designato dal tribunale per stimare il valore delle carte vasariane, un incarico che avrebbe lasciato presto. Il suo vero mondo non era tra le carte da bollo ma tra i colori, le emozioni, i contorni della grande bellezza. In un racconto che partiva da una domenica del 1961 e che fotografava, perfino a occhi chiusi.