Cammina lungo antichi sentieri,
sull’acciottolato di stradine che sconfinano nei boschi o si arrampicano sui crinali delle colline. Ed è come se camminasse nella sofferenza di ogni persona che porta con sé: da Arezzo a Santiago di Compostela. Nel suo zaino carico di umanità, Sorin ha messo i volontari della Misericordia, la sua grande famiglia aretina, la moglie e la figlia e pure chi ha bisogno. Quello zaino che a ogni passo si carica di preghiere e pensieri, riflessioni e ricordi, lo depositerà nella cattedrale, la destinazione del viaggio.
Sorin Stanica ha 51 anni, ed è al suo terzo pellegrinaggio a Santiago. Un viaggio "fuori e dentro me stesso", davanti a una sfida che "affronto con un paio di scarpe e poco altro". Sorin è partito martedì da Lisbona e ha già macinato 250 chilometri: "Sono a un terzo del cammino", racconta al cellulare mentre avanza nel silenzio della natura. Non è solo: con lui cammina l’amico di sempre, Giuseppe da Como, incontrato in un pellegrinaggio sulla via Francigena nel 2016 e diventato compagno di nuove rotte. E di quella che porta a Santiago di Compostela è un veterano: "Ora sto facendo il cammino portoghese, ma ho già fatto quello francese e la versione da Siviglia a Santiago". Perchè? Sorin non ha esitazioni: per lui tutto è iniziato nel 2014 "quando ho visto un film sul Cammino, da allora non mi sono più fermato". La molla che lo spinge a non fermarsi è la "consapevolezza che niente accade per caso e la ripartenza, la definisco ’il richiamo’ del cammino". E così, una volta all’anno si rimette in movimento, prendendosi un mese di pausa dal lavoro che considera una passione: il servizio alla Misericordia. Forse proprio in mezzo alla sofferenza, Sorin ha toccato con mano la forza della solidarietà, l’umanità che si fa servizio e si prende cura di chi ha bisogno. "Un lavoro bellissimo, sono felice di essere in Misericordia, ormai dal 2002". In ufficio ogni giorno è una scoperta, come al mattino quando indossa gli scarponi e si rimette sul sentiero dei pellegrini, verso un’altra tappa. "È anche una sfida con me stesso e le mie potenzialità, un mettersi alla prova, da solo di fronte a un obiettivo difficile e mai scontato".
Sorin è arrivato ad Arezzo dalla Romania ventitrè anni fa. In tasca un contratto di lavoro e l’idea di mettere da parte un pò di soldi per la famiglia, all’inizio rimasta nel paese di origine. Le cose girano per il verso giusto e poco dopo, moglie e figlia lo raggiungono: un traguardo importante per costruire il futuro che ora è presente. "Mia figlia Maria Alexandra ha 25 anni e si è laureata in grafica e design a Firenze. Adesso sta facendo un master". È l’orgoglio di casa, sussurra Sorin mentre avanza con il suo bastone e i suoi pensieri. Il viaggio non è solo interiore ma diventa relazione quando "incontri i pellegrini, quando negli ostelli la sera ci raccontiamo ciascuno le proprie esperienze e un pezzo del cammino fatto, i traguardi e pure le difficoltà".
La sera diventa incontro e fraternità, in un’alternanza tra giorno e notte, metafora del cammino.
"È il cammino che mi chiama, non sono io che vado a cercarlo", dice Sorin. È a un terzo del cammino, oltre settecento chilometri da nord a sud del Portogallo, e descrive "un’esperienza molto intesa, attraverso paesini fatti di poche case, mi fermo a parlare con i contadini; anche se non conosco bene la lingua ci intendiamo senza problemi; vivo un contatto quasi esclusivo con la natura e dall’incontro con i pellegrini ricavo un patrimonio di umanità, confronto, conoscenza davvero prezioso".
Un aereo lo riporterà in Italia il 28 maggio, insieme a "ricordi, immagini, volti, momenti belli e fasi di difficoltà". Intanto cammina, fuori e dentro se stesso, perchè come ripete Sorin "l’impegno solidale con i confratelli in Misericordia, mi viene ripagato qui, in questo viaggio dell’anima". Che non finisce mai.