Firenze, quando nacque l'Isolotto. La Pira e l'idea della città giardino

Nei giorni del meeting del Mediterraneo emerge la figura del sindaco

Folla all'inaugurazione dell'Isolotto

Folla all'inaugurazione dell'Isolotto

Firenze, 26 febbraio 2022 - La lezione di La Pira era quella di abbattere i muri e costruire ponti, fra le città e fra le nazioni. Dalla sua figura si prende l’ispirazione per restituire oggi alle città europee un ruolo di riflessione e di promozione sui temi che più preoccupano i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo: l’emergenza climatica, la miseria, le malattie e le guerre e le conseguenti migrazioni, la cooperazione internazionale.

Uno dei motti di La Pira era :“Unire le città per unire le nazioni”, che esprime un’attenzione per entrambe le dimensioni, quella della comunità cittadina e quella globale di tutte le nazioni. All’inaugurazione di quella che chiamava la “Città satellite di Firenze”, l’Isolotto, erano presenti delegazioni inglesi, belghe, tedesche, francesi e di altri Paesi, che La Pira non manca di ringraziare per la loro presenza e della loro “ammirazione”. Ai fiorentini e agli ospiti degli altri Paesi non manca di indicare le finalità della struttura urbanistica della città: “stabilire, cementare, accrescere, fra i membri della città, una comunione fraterna di vita”.

Fra i quartieri della città come fra le nazioni, questa era per La Pira la cosa più importante. All’Isolotto poi – dove in pochi anni confluirono migliaia di persone provenienti da vari quartieri fiorentini, dal sud Italia, dalla campagna toscana e emiliana, profughi istriani e greci, alluvionati del Polesine – questa “comunità di vita” si realizzò davvero, e dette vita a tante iniziative che rimangono nella storia del quartiere e della città tutta. Oggi non possiamo che tornarvi e imparare da quelle, perché sicuramente il dialogo e la collaborazione sono la cosa più preziosa se vogliamo sperare di iniziare a dare qualche risposta ai tanti problemi che assillano il Mediterraneo e il mondo intero.

La lungimiranza del sindaco di allora e dei progettisti e costruttori dell’Isolotto si ritrova forse anche nelle scelte che oggi definiremmo ‘ambientaliste’. L’urbanistica si ispirava alle città-giardino inglesi: edifici di altezza limitata, giardini privati che danno su piazze verdi e piccoli viali alberati che circondano le case, frutto dell’esperienza inglese di Francesco Tiezzi, uno dei progettisti. C’è da dire purtroppo che questa esperienza non è stata molto seguita nelle progettazioni urbanistiche degli anni successivi: un grave errore.

Spero e auspico che l’incontro dei vescovi e dei sindaci del Mediterraneo cominci a dare qualche risposta alle tante domande. Per salvare vite umane da tempo sono stati creati corridoi umanitari da diverse Organizzazioni non governative, come Caritas e Comunità di Sant’Egidio, ma non si vede un impegno altrettanto convinto dei governi. Personalmente non riesco a capire l’impegno positivo portato avanti con l’Afghanistan, dove gli aerei hanno fatto la spola per portare in salvo in Italia migliaia di persone, mentre la pratica dei corridoi umanitari non viene fatta propria dai governi e dall’Ue, e si lascia che siano i barconi della morte a trasportare i migranti e i profughi. Il Mediterraneo è diventano un cimitero, non più il mare del dialogo.

Molte associazioni del nostro territorio si sono unite per inviare ai sindaci e ai vescovi che si riuniranno a Firenze una richiesta di serio impegno. Chiedono che si esca dall’incontro di fine febbraio con una dichiarazione ferma di ripudio di tutte le scelte politiche italiane e europee che violano la nostra Costituzione e tutte le convenzioni internazioni sui diritti dei rifugiati. Vi si chiede di rivedere i nostri accordi con la Libia, fatti solo per intercettare i migranti in mare e riportarli indietro esponendoli a violenze e morte; di interrompere i finanziamenti al governo turco perché crei una barriera ai migranti nell’est Europa; di agevolare l’acquisizione della residenza per i senza fissa dimora e di sostenere concretamente le esperienze di accoglienza che nascono spontaneamente nel nostro Paese e in tutta Europa.

Già negli anni 1950 in Palazzo Vecchio si riunivano le città più importanti sul tema del nucleare. Mi piacerebbe che nella Carta d’intenti che uscirà da questo incontro si prevedesse un ruolo di promozione e anche di monitoraggio dell’attuazione delle finalità ivi stabilite, mettendo a disposizione Palazzo Vecchio come ‘ambasciata’ di pace e di dialogo.