STEFANO CECCHI
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Alluvione, "Una città ferita capace di reagire, siate fieri del vostro coraggio"

L'esortazione del presidente Mattarella durante la visita al giornale

Da sinistra, fiaccolata del ricordo, Mattarella a La Nazione e una foto dell'epoca

Da sinistra, fiaccolata del ricordo, Mattarella a La Nazione e una foto dell'epoca

Firenze, 5 novembre 2016 - «Firenze, benché gravemente ferita, non si arrese. Mostrò al mondo la sua volontà e la sua capacità di reazione. Ecco: oggi ci sono persone che, come cinquant’anni fa, hanno perso tutto: affetti, casa, lavoro, ricordi. Dobbiamo preservare la loro speranza». Commosso. Come un vecchio padre che torna sui luoghi di un ipotetico passato e riassapora l’emozione forte di quei giorni intensi, i giorni di una tragedia e dell’enorme vento di solidarietà che ne seguì.

Ieri, 50 anni dopo, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è arrivato a Firenze a ricordare e commemorare il tempo dell’Alluvione del 1966 (Guarda lo speciale). Nel farlo è voluto passare anche dalla sede de La Nazione, ovvero del giornale che in quel tempo drammatico seppe essere la voce forte della città, raccontando all’Italia e al mondo cosa davvero stava accadendo per le strade di Firenze sommerse dall’Arno. Una presenza e un passaggio significativi.

Mattarella è arrivato alla sede del nostro giornale in via Paolieri poco prima delle 16. Ad accoglierlo ha trovato la presidentessa della Poligrafici Editoriale Marisa Monti Riffeser, l’amministratore delegato Andrea Riffeser Monti e il direttore Pier Francesco De Robertis che lo hanno accompagnato a visitare la mostra ‘L’Arno straripa a Firenze’ realizzata nel nostro auditorium. «Questo è un pezzo di storia di Firenze che meritava di essere visto. Siate fieri del lavoro fatto allora dal vostro giornale», ha detto Mattarella sfogliando le collezioni storiche de La Nazione che, grazie all’aiuto del giornale confratello Il Resto del Carlino, riuscì a non mancare nemmeno per un giorno l’appuntamento coi lettori nonostante lo stabilimento e la rotativa fossero imprigionati in un lago di melma e nafta. Con il capo dello Stato c’erano anche il ministro dei beni culturali Dario Franceschini, il sindaco di Firenze Dario Nardella e il presidente del consiglio regionale toscano, Eugenio Giani.

Tutti insieme hanno così salutato Franco Zeffirelli, il regista autore del documentario-capolavoro sull’alluvione, proiettato all’interno della mostra che è voluto essere presente all’evento: «Sono emozionato a essere qui nella sede del ‘mio’ giornale al quale sono abbonato da 30 anni – ha detto anche lui commosso – L’alluvione l’ho vissuta in prima persona e in questa mostra la rivedo perfettamente, insieme allo spirito meraviglioso dei fiorentini, la mia gente». Già, l’alluvione come fatto epocale per la città. Come confine fra una stagione e un’altra. Perché quell’acqua e quel fango che l’Arno rovesciò nel ventre di Firenze la mattina del 4 novembre 1966, si portarono via per sempre molte cose oltre ai mobili e agli infissi delle case al primo piano. Si portarono via l’idea che il futuro potesse essere sempre in discesa, che la Nuova Italia potesse provvedere a se stessa con un’efficienza democratica nuova.

Si portarono via, soprattutto, la città di Pratolini, quella delle botteghe e degli artigiani d’Oltrarno, della vita nei vicoli e degli anglobeceri, aprendosi al nuovo. Ovvero a una sorta di globalizzazione ante litteram assolutamente imprevista. Perché questo in fondo rappresentarono quei ragazzi di mezzo mondo che, richiamati da chissà quale forza misteriosa, arrivarono a Firenze nel fango e nel gelo di quel novembre del 1966 semplicemente per dare una mano a chi ne aveva bisogno. «Un’anticipazione, una prefigurazione di quel vasto e impetuoso fenomeno della globalizzazione, esploso a cavallo del nuovo secolo e che contrassegna i nostri tempi», ha riassunto il presidente Mattarella. Che sia stato un bene o un altro diluvio devastante, questo non è ancora chiaro.