"Jalal parla solo di pace e non ha mai inneggiato all'Isis"

In aula la ragazza con cui il marocchino accusato di istigazione alla jihad aveva da mesi una realzione virtuale

L'aula del processo

L'aula del processo

Ponsacco, 13 maggio 2016 -  "Non ci sono password, tutto aperto e consultabile: datemi il mio computer e vi trovo tutti i post". Un'altra ora sotto il fuco di fila di domande e contestazioni del pm della Dda Angela Pietroiusti che sostiene con vigore l'accusa contro Jalal El Hanoui, il marocchino di 26 anni arrestato l’estate scorsa e che deve rispondere di istigazione alla jihad attraverso il suo profilo Facebook. Oggi è stato un giorno importante per il processo, perchè sono stati ascoltati tre testimoni. Un teste dell’accusa, l'amico che vive a Londa, ha svelato che uno dei ‘giallì irrisolti dell’indagine relativo a un’utenza telefonica estera mai identificata era intestata a lui. Il teste della difesa. La fidanzata virtuale di Jalal,  originaria del Marocco, cresciuta in Italia e residente a Verbania ha difeso a spada tratta l'imputato: "Di lui ho sempre letto messaggi di pace". La ragazza, appunto, con l’imputato ha stretto un rapporto di amicizia sui social network e poi telefonico con lunghe conversazioni per mesi quasi tutte incentrate sulla religione musulmana. Oggi i due giovani si sono visti per la prima volta. «Ha detto alla madre - ha commentato in lacrime al termine dell’udienza - che era dispiaciuto di avermi visto in questa situazione triste. La prima volta con me se la immaginava diversa». Incalzata dal pm, Angela Pietroiusti, Imane, vestita in abiti tradizionali e con il velo sul capo, ha riferito sulla sua amicizia con El Hanaoui e ha spiegato «che i suoi post sull’islam erano tutti inneggianti alla pace e alla fratellanza».

La difesa ha prodotto anche decine di screenshots che lei stessa ha fatto recapitare al legale per dimostrare che l’attività sul web dell’amico «era stata fraintesa e che vi sono centinaia di post nei quali si critica la violenza: quella che voi pensate sia la bandiera dell’Isis, è in realtà il sigillo del profeta ora strumentalizzato da un gruppo di psicopatici». Tornando all'amico che vive a Londra, Mario D’Apice,  ha rivelato che «l’utenza telefonica inglese contattata da Jalal durante un suo viaggio in Turchia e mai prima d’ora identificata corrisponde a una mia sim che usavo quando lavoravo in Inghilterra». Il teste ha consegnato la sim al tribunale che l’ha acquisita. L’accusa aveva insistito molto sul numero inglese contattato senza ottenere risposta dall’imputato durante un suo viaggio in Turchia, ma il teste ha spiegato che quel numero corrisponde a una sua vecchia sim ormai inattiva che lui ha conservato e che stamani ha consegnato in aula al giudice, Pietro Murano. La prossima udienza è stata programmata per il 14 giugno, quando saranno ascoltati i consulenti incaricati di tradurre alcuni post pubblicati in arabo da El Hanaoui.