Fanghi tossici nei campi coltivati. Nei guai 59 persone e 20 aziende / VIDEO

Scarti industriali tossici smaltiti e poi dispersi nei campi coltivati

L’inchiesta sui presunti fanghi avariati si è prolungata per diversi mesi

L’inchiesta sui presunti fanghi avariati si è prolungata per diversi mesi

Pontedera, 21 dicembre 2017 - Abusiva gestione dei fanghi di depurazione per lo spandimento in agricoltura. Il magistrato antimafia Giulio Monferini della Dda di Firenze ha chiuso l’inchiesta su un presunto traffico illecito di rifiuti e sullo sversamento di scarti nocivi in terreni agricoli, che nel settembre del 2016 aveva portato al sequestro di beni per più di 7 milioni di euro e agli arresti domiciliari, in esecuzione di custodia cautelare ai domiciliari, di sei imprenditori, cinque residenti a Lucca e uno a Padova.

Un’indagine complessa e articolata il cui presunto filone criminale unisce Toscana, Veneto e Basilicata.

La Procura di Firenze ha notificato l’avviso di conclusione indagini a 59 persone e 20 aziende, per lo più operanti nel settore del trasporto e della lavorazione dei rifiuti speciali, implicate a vario titolo nella vicenda. Dalle indagini è emerso che scarti industriali tossici sarebbero stati smaltiti senza essere trattati, e poi dispersi nell’ambiente anche tramite l’incenerimento.

Inoltre, fanghi nocivi sarebbero stati riversati in terreni di aziende agricole poi adibiti a coltivazioni di grano. Le indagini, in particolare per il filone dei presunti fanghi tossici spacciati come concimi e finiti su terreni adibiti anche a coltivazioni «bio», si sono focalizzate sull’attività di una società pisana, che, grazie alla connivenza dei proprietari che venivano risarciti con somme di denaro, avrebbe sversato circa 45 mila tonnellate di fanghi su campi agricoli destinati a graminacee, per una superficie complessiva di 800 ettari, nelle zone tra Peccioli, Palaia, Lajatico, Crespina Lorenzana, Fauglia e Montaione: un’attività abusivamente organizzata che ha portato un profitto illecito di circa 2milioni e mezzo euro con la gestione di 13-15 mila tonnellate l’anno di fanghi «spacciati» per ammendanti per tre anni.

Dalle indagini è emerso anche che gli agricoltori che ricevevano i fanghi (pratica legale purché le caratteristiche del fango rispettino le caratteristiche fisico-chimiche di legge) non li pagavano, ma al contrario venivano compensati – fino a 500 euro ad ettaro – per permettere agli smaltitori di sversarli.

I titolari degli impianti di produzione dei fanghi finiti sotto la lente, secondo il teorema dell’accusa, destinavano i fanghi all’impiego in agricoltura sebbene il rifiuto non fosse conforme alla normativa e presentasse concentrazioni inquinanti: «tali da peggiorare la qualità ambientale delle matrice suolo su cui erano destinati», poiché i fanghi non derivavano dal trattamento di acque reflue provenienti esclusivamente da insediamenti civili. Si parla di valori di idrocarburi notevolmente oltre il limite di tolleranza fissato dalla legge. La Procura contesta inoltre il delitto di falso in certificati ai gestori degli impianti di spandimento, ai trasportatori, ai gestori dell’impianto di pre trattamento. Anche i campioni che venivano mandati ai laboratori per ottenere le autorizzazioni, per l’accusa, erano confezionati ad arte. E trasportatori partivano, quindi, con i certificati falsi verso gli impianti di destinazione.